( lettura scenica di alcuni brani tratti dal libro "homo sapiens nord est". leggono: Elvira Naccari, Paola Cavallin, Cristiano Prakash Dorigo; base musicale di Franco Belcastro, chitarra e strumenti vari Umberto De Vicaris ( con i quali formiamo i "supermarket nord est")
Stamattina
portando fuori cagnone guardavo il cielo grigio, le sue sfumature, tentavo di
calcolare quanto tempo ci avrebbe messo a piovere.
Mentre
camminavo, era ancora presto per essere domenica, la gente ancora a letto,
ascoltavo gli uccelli, unico suono oltre al nostro avanzare. Pensavo al post
che avrei scritto oggi come accompagnamento alla registrazione della prima
parte della lettura al Candiani, e mi venivano in mente due temi: il primo,
veloce, istintivo, forse macchiato dall’ ideologia, spingeva verso la
constatazione della situazione politica italiana, e più in generale, quella
occidentale; la seconda, alcune considerazioni che Walter Siti faceva ieri sera
da Fazio: purtroppo ho visto solo la parte conclusiva, ma è bastata quella per
registrare la differenza tra un grande scrittore, la sua idea di letteratura, e
la pochezza del mezzo.
Non
so se c’è un nesso tra i due pensieri e il mio libro. Forse in maniera
presuntuosa credo invece che ci sia, ma credo anche di non essere in grado di
riuscire a spiegarlo in poche righe: non mi compete proprio una tale capacità
di sintesi.
Mi
limito perciò a buttare là pensieri alla rinfusa, accettando il fatto che
probabilmente non so fare di meglio.
…
veniamo da un’epoca recente in cui, di fronte a un cielo grigio come questo, si
sarebbe detto che c’era un cielo limpido, che negarlo sarebbe stato da
disfattisti, da frocetti, da sfigati. La realtà non era ciò che era reale,
bensì il racconto che se ne faceva.
Ci
siamo bevuti la finzione della finanza, un’entità impalpabile, inesistente,
eppure dotata di super poteri: poteri tali da scatenare, solo per un cambio
d’umore, un sospetto, un’indiscrezione, la ricchezza o la povertà di intere
nazioni.
Siti
esprime concetti universali rinchiusi all’interno di tempi e modi che lo
costringono a riassunti minimali, quasi degli aforismi. Dice che l’economia
persegue un mito di progresso e benessere, convinta che, se perpetuato, non
possa che portare progresso e benessere a tutti. Dice che la letteratura
contiene in sé tutto, e che certi grandi libri riescono a raccontare quel tutto
come nient’altro può. Che i suoi libri, e in particolare quest’ultimo- che non
ho ancora letto, ma che leggerò, memore dei suoi precedenti-, prova a
raccontare la realtà attraverso un personaggio che sta dalla parte del “male”,
che si autoassolve attraverso una serie di giustificazioni cui siamo, ahinoi,
abituati in questi ultimi anni. Dice in sostanza che il bene e il male non sono
disgiunti, che si compenetrano, che ci abitano, e che spesso non ne siamo
consapevoli, o non riusciamo ad accettarne il peso. E poi dice molto altro, in
poco tempo. Ad esempio che la televisione non è causa di tutti i mali, ma è
solo una parte del complesso sistema che forma la società. Insiste sulla
complessità, sull’impossibilità di risponderne in modo esaustivo in poche
parole, con poco tempo, in un luogo così pedagogico e diseducativo insieme, che
è la televisione.
Tra
l’altro, dopo di lui, ho visto un pezzo di Gramellini, persona invece, a me
pare, che immagina di sapere, in buona fede, cos’è giusto e cos’è sbagliato.
Purtroppo- e lo dico per l’amore per la letteratura, non per la persona in
quanto tale-, vende molti più libri di Siti.
E
cosa c’entra il mio libro?
Questa
è la parte più difficile da scrivere. Innanzitutto consiglio di ascoltare il
podcast- grazie a radio San Donà per aver voluto dedicarvi una trasmissione:
questa è la prima parte, la seconda la posto nei prossimi giorni-.
Poi
accenno un paio di suggestioni che spero di riuscire a sviluppare nel prossimo
post.
La
prima è la questione dell’autofiction: mi è capitato di dover rispondere alla
domanda: ma è autobiografico? Questo perché, in alcuni racconti, scrivo di droga, e di sesso, e lo
faccio in modo esplicito. Rispetto a questa domanda, mi sono spesso sentito di
dover chiarire, raccontare, specificare che quei personaggi non sono io: sono
frutto di analisi, racconti, frammenti di storie che ho cucito insieme, ecc. Mi
sono cioè ritrovato a difendermi dal mio libro, forse anche a difendere il
libro da me, e in modo assolutamente precario, instabile, ansiogeno.
Se
avrò tempo, anche se più passa il tempo, meno ne sono convinto, spiegherò che
ho voluto raccontare i sintomi che conseguono a cause più profonde,
intangibili, inconsce, forse più
universali che territoriali. Il fatto che molti personaggi si chiamino col mio
nome, non significa che siano me: questo è solo uno dei modi di raccontare. Un
libro poi non si spiega: si legge. L’ho scritto io, ma una volta pubblicato,
diventa del lettore, il quale darà le sue spiegazioni, le sue motivazioni,
troverà le sue ragioni.
Concludo.
Non
volevo paragonarmi a Siti: ho il senso della misura.
Non
volevo dire che il mio libro è paradigmatico di un’epoca: ho il senso della
misura.
Volevo,
forse, dire che il sintomo è solo la superficie, e che andare alla ricerca
delle cause e raccontarle è, tra l’altro, uno dei compiti che la letteratura dovrebbe assolvere.
Cristiano
Prakash Dorigo
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