Se
immagino il tempo, la forma che mi viene è un cerchio.
Se
penso per esempio alla fine dell’anno, cui ne seguirà un altro, il
prossimo, anche volendolo guardare, non ne vedo che un piccolo pezzo.
L’orizzonte arriva fino a dove il cerchio s’incurva; oltre,
l’ignoto.
La
maggior parte del futuro, accettando questa convenzione – quella
cui sopra che descrive la curva continua del tempo – è perciò un
divenire sconosciuto.
Il
cerchio è una figura adatta a rappresentare il tempo in quanto
inizia e finisce in qualsiasi punto. E credo sia per questo che lo
immagino così.
Si
comincia nascendo, e da subito ci si incammina verso.
La dimensione del cerchio però non la si conosce:
si sa soltanto che è un percorso da intraprendere.
E
camminando verso l’ignoto conviene affidarsi al cammino stesso,
senza tanto perdersi in sofismi e animosità, che tanto nessuno sa
cosa ci sia, oltre la curva.
Il
tempo che è stato è passato; cosa mai ne abbiamo fatto, è un
nostro cruccio, un pentimento o una piena soddisfazione che però non
appartiene più al nostro presente. S’è probabilmente accasato
nell’inconscio e verrà talvolta a manifestarsi attraverso qualche
bizzarria, o sogno, o incubo, o gastrite.
E
anch’esso era nel cerchio, oltre quel che possiamo vedere seppur
voltandoci, rischiando peraltro il torcicollo.
Quello
che sarà appartiene all’immaginazione, all’harem dei desideri,
al venire misterioso oltre la curva. Possiamo ipotecare energie e
voglie, posticipare qualcosa che ora non vogliamo o sappiamo fare, ma
sarà solo uno sterile procrastinare.
Quello
che invece è, nell’ottica del qui e ora, è tutto. Non esiste
altra dimensione che ci possa interessare se non sfruttare questa
benedizione. Noi gli apparteniamo ed esso ci appartiene; fusi e
intimi, ci preoccupiamo soltanto di occuparcene. Domani però sarà
una giornata dura? Domani, quando verrà, ce ne occuperemo; ora siamo
impegnati nell’adesso.
Le
curve che venivano, e quelle che verranno, saranno vissute al loro
momento.
No,
non ti preoccupare, non mi sono convertita ad alcuna fede. Cercavo,
questo sì, di descrivere la dimensione cui aspiro. E scrivendo
riesco a stare qui, senza pensare a tutto il resto che non sia invece
pertinente e contingente a quello che ti voglio dire.
È
una forma di trance per cui, davvero, riesco a fare quel che voglio
senza preoccuparmi troppo del resto del mondo: quello grande, enorme,
e quello più piccolo, il mio personale.
E
vi aspiro perché davvero, provare per credere, se sto,
semplicemente, non sono sommersa dai soliti rimpianti, dolori,
passioni, desideri, afflizioni, di cui non avrei bisogno, ma che
caratterizzano, costantemente, il mio vissuto.
La
scoperta è che il male e il bene che sento, e che credo provenga da
altri, nasce invece in me. E la stima, l’odio, la noia, il ribrezzo
e l’amore, sono forse proiezioni di quell’interiorità che si
preoccupa solo di preoccuparsi.
Sto
girando in tondo. Mi sto ubriacando di parole per riuscire a spiegare
un concetto che mi è ormai chiaro, e che vorrei raccontare per
condividerlo.
Ma
no, in fondo raccontare l’esperienza, la svilirebbe e, a contatto
con la luce e l’aria, provenendo da caverne nascoste, si
ossiderebbe; come fa il burro o la mela, che presa un po’ d’aria,
si scurisce.
Rileggo
queste righe dopo qualche giorno.
Ho
dovuto aspettare qualche giorno, appunto, per riprender il ritmo che
ci vuole.
La
mattina m’alzo ad una certa ora, e tutta la giornata è ad una
cert’ora.
Ritmi
cadenzati.
Oggi
però è una giornata diversa.
La
sto vivendo con pienezza, osservando la religiosità di ogni piccola
cosa. Come con una lente vedo i particolari; e così facendo tutto ha
un senso.
Tutto
ha un senso significa ordine.
Quando
tutto invece lo perde, il senso, allora vige il disordine.
La
fretta è la matrigna della nostra vita e non ci fa vedere ma solo
guardare.
Oggi
vedo i gesti e le ragioni degli stessi.
Sono
perfettamente attenta ad ogni piccolo gesto che, ad esempio, in
questo momento si manifesta in dita che ballano sui simboli della
tastiera.
Partono
gli ordini dal cervello che pensa ad una parola; l’ordine corre giù
attraverso i canali del sistema nervoso; che si muovono con prontezza
compiendo un percorso logico e repentinamente giungono ai
polpastrelli delle dita; queste, dopo che l’occhio individua il
posto preciso, toccano morbidamente la superficie dei tasti.
Quando
sono attenta sono un essere religioso.
Perfettamente
a mio agio con tutto.
Vorrei
finire qui. Magari riprendo con la prossima.
Nel
frattempo, se stiamo ancora giocando entrambi, risponderai.
Un
pudico ciao a te e a chi leggerà.
anonima
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