giovedì 1 marzo 2012

lavori atipici



Arrivo alla stazione col treno dei pendolari.
A Mestre sale e si siede di fronte a me una ragazza che viene da un campo rom, credo. Sopra l’occhio sinistro ha un grande e vistoso cerotto.
Le mani, sporche, si toccano nervose.
È seduta da sola. Estrae un cellulare, cerca in rubrica un nome, chiama, nessuno risponde. Rinuncia e continua a muovere le mani nervosamente per tutto il viaggio.
Età indefinita, ma giovane, sotto i trenta; forse di tanto, anche.

Il Ponte degli Scalzi pare un bazar: si vendono borse, occhiali da sole, venduti da africani, e palle colorate che si spappolano su pezzi di cartone, dei bengalesi.
M’avvio verso S.Polo girando a destra.
Dopo il ponte che collega p.le Roma ai giardini Papadopoli, come ogni giorno, c’è una che chiede la carità in posa genuflessa. Sembra una zeta “Z”: le braccia dritte come sulla zeta, con il piattino sulle mani.
Ponte, a sinistra, lascio l’IUAV sulla destra, sottoportico, passato il quale, un altro mendicante, di quelli seduti, stavolta.
Proseguo diritto, faccio il ponte, cammino, giro a destra, poi a sinistra. Proprio all’altezza della piccola fontanella, sulla sinistra, una vecchia di quelle col santino sul piattino.
Trenta metri più avanti, la Scuola Grande di S. Rocco, bianca di marmo perlaceo. Sul campo adiacente hanno messo dei tendoni rossi, facendone una sorta di galleria temporanea. Sotto, seduti sui gradini della scuola e della chiesa, un pubblico eterogeneo di turisti ascolta, incantato dalla magia del posto, una cantante di strada che improvvisa un’aria tratta da un’opera lirica: base musicale, microfono e in-canto.
Sui gradini della chiesa una ragazza vende delle foto bellissime dialogando in inglese con altri turisti.
Sempre là, proprio in mezzo al passaggio dei pedoni, un tavolo di una onlus e un ragazzo e una ragazza che invitano i passanti a firmare e a lasciar loro un obolo.
Proseguo, giro a sinistra, passo davanti alla chiesa dei Frari dove c’è una vecchia col piattino tutta piegata a destra; sembra immobile in quella posa innaturale. Una turista di colore lascia qualche moneta.
La chiesa è immensa, immobile, eretta. Da dentro esce un suono d’organo.
Continuo fino ad arrivare a S. Polo. Qui trovo un gruppo di musicanti che si esibisce con fisarmonica, chitarra, violino. Sono bravi, musicisti veri, penso.
Prendo una calletta dove son sicuro di non incontrare turisti ma, a S. Croce, ai piedi di un ponte di cui non ricordo il nome, chiede carità una giovane cui manca l’occhio sinistro. Al suo posto, una levigata cicatrice e il nulla: sulla destra, l’altro occhio rotea vivo. E’ quella del treno.

Alla sera piove.
Tra le calli, silenzio.
Sull’ombrello lo scroscio picchietta a ritmo afrocubano.
Piscine ovunque, pantaloni bagnati fino alle ginocchia.
Ma chissenefrega, penso: è marzo, un po’ di bagnato non farà poi così male.
Sorrido a chiunque, per strada, e sono contraccambiato.
C’è un’allegria senza ragione, un buio dolce.
In stazione tutti ad attendere il proprio treno, al riparo dell'imponente tettoia squadrata dall'evidente stile fascista. Decine di persone rendono viva e dinamica, come fosse un organismo, quella tettoia in cemento, con il loro andirivieni, con gli sguardi vagamente ansiosi rivolti al tabellone degli orari.
Arriva il mio treno, appena in ritardo, al binario quattordici.
Tra quaranta minuti sono a casa.
Tra i passeggeri umidi, noto anche lei, quella col cerotto.
Anche per oggi, penso, abbiamo finito di lavorare.

Cristiano prakash dorigo

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