lunedì 14 maggio 2012

i dispiaceri dle vero poliziotto


Ieri ho finito l’ultimo di Bolano, “i dispiaceri del vero poliziotto”.
Mi riesce difficile parlare di libri, soprattutto in termini formali, lucidi, intelligenti. Quest’ultimo romanzo, quando lo inizi, sai già che non si concluderà: è stato messo insieme attingendo dall’archivio personale dello scrittore, morto giovane, lontano dal Sudamerica, ancor prima di diventare quello che è adesso: un autore di culto, che vende un’infinità di libri, che è diventato “obbligatorio” leggere, se si vuol stare in certi salotti.
Dopo 2666 sembrava impossibile ritrovare certe atmosfere, digressioni, profondità e leggerezza insieme. E invece non lo è, impossibile. Si ritrova quello che si era dolorosamente concluso senza finire- uno di quei libri che non si vorrebbe finire, che lasciano una scia luttuosa perché sai che dopo ti devi aggrappare alla fede per trovare qualcosa che gli si accosti senza stonare-, che ti ha accompagnato per mano nelle zone più oscure, e in quelle più limpide, della condizione esistenziale, che ha sfondato limiti, barriere, che ha lasciato un segno, delicatamente.
Stanotte ho sognato la poesia: non in termini classici, non rime, metriche, regole; no, quella che scava nella carne, che apre gli occhi e fa vedere: che senza capire come e perché, si fa sognare la notte, quando sei vulnerabile, quando non puoi controllare, quando lasci che quel che dev’essere, sia.
Ecco, lui mi fa questo effetto: aggira senza che me ne accorga il gusto estetico, la logica, il rigore; mi fa andare dentro, un po’ alla volta, senza fretta, col sorriso di chi ha fiducia nell’altro, e mi fa vedere lo sforzo umano, la passione, l’inutile tentativo di capire l’infinità.

“…a Managua, in cambio di uno stipendio miserabile, insegnò Hegel, Feuerbach, Marx, Lenin, ma soprattutto tenne corsi su Platone, Aristotele, Boezio, Abelardo, e capì una cosa che in fondo aveva sempre saputo: che il Tutto è impossibile, che la conoscenza è un modo per classificare frammenti…”

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