giovedì 3 maggio 2012

anonima con tramonto




Ciao, ti scrivo senza orizzonti, in questo momento, se non questa pagina bianca.
L’idea che più mi piace è quella che con te, inizio ogni volta da zero; senza preoccuparmi né di dove vado, né perché.
E senza il bisogno di essere perfettamente logico o descrivente; mi sembra piuttosto che entrambi stiamo aderendo ad uno standard poco ortodosso che risponde solo al bisogno di comunicare. Comunicare a voce bassa piuttosto che attraverso un urlo possente; scrivere parole comode piuttosto che acide; buttar fuori quel che dentro presto andrebbe in scadenza, formando così grumi tossici.
Questa è l’idea che mi sono fatto. E naturalmente potrebbe anche essere un’idea per niente aderente alle tue, ma che mi sento comunque a mio agio a manifestare.

Domenica sera ero a Belluno per una visita ad una coppia di amici che si sono trasferiti dalla grigia città al colorato mondo montano. Passeggiavamo verso il tramonto nella parte alta della città, da cui si gode ad ogni ora un panorama straordinario.
Per un momento mi sono staccato dalla loro compagnia per avvicinarmi ad un punto da cui si poteva vedere meglio il tramonto.
Ero ammutolito, completamente pervaso da quella magnificenza oltre ogni immaginazione.
Tutto ciò che quel momento chiedeva, voleva era niente.
Occhi che san vedere.
Naso che respira.
Orecchie che ascoltano.
Bocca che tace.
Ma il silenzio era anche stavolta solo una breve parentesi.
Sono stato di nuovo avvolto da pensieri e considerazioni, dal bisogno di definire il momento.
Pensavo a come un artista avrebbe potuto descrivere quell’attimo che era già andato.
Un pittore, un fotografo, forse.
Ma scrivere la bellezza, io no: come avrei potuto?
Come avrei potuto condividere un solo istante che si dilata pur rimanendo fermo immobile?
Comunicare, dicevi tu.
E mi sentivo già sfiorare dalla sensazione di essere capace di raccontare quel solo singolo momento.
Mi sono reso conto che non ci sarei riuscito e che questo non faceva poi così male; succede di non esser capaci. Si aggiunge alla folta schiera delle impossibilità, dei limiti che talvolta, nello sconforto, si sentono come invalidanti.
Ma nei momenti migliori, segnano solo un dato con cui si può anche fare dei compromessi; una sorta di dichiarazione di non belligeranza, che diventa convivenza, a volte perfino simpatica.
Quando ho raggiunto gli amici ho creduto di essere un po’ meglio di come ero appena prima.
Per un tramonto, ho pensato.

Adesso invece è un altro posto, sono a casa.
Computer acceso per non mancare all’appuntamento, la promessa implicita e taciuta, con il mio turno: la risposta, dovere accanto al piacere.
Sarebbe problematico e contraddittorio ritornare a quell’attimo e al tentativo di visualizzarlo a parole. Lo sarebbe perché vorrebbe dire scappare dal tempo di adesso e tornare al passato.
L’impressione che mi aveva dato quel tramonto era di eternità. Era eterno perché sospeso in una dimensione senza tempo: in pratica ero riuscito ad entrare nel presente contingente; non pensavo, per quel breve istante, né a prima né a dopo; sì, per un istante non ho pensato.
E l’ho perduto nel momento stesso in cui ci ho pensato: pensato di doverci pensare.
Per cui anche ora, che vorrei attaccarmici, perderei quel che sono adesso.
E adesso sono in contatto con l’incertezza e la caducità fragile di me, vorrei spaziare; a costo di perdere ancora l’occasione di svelare quella piccola parte di verità che posso percepire tra la frenesia della fuga.
Perché le parole che diciamo differiscono da quelle che scriviamo.
Qualsiasi proposta, insegnamento, ideologia ci venga fatta, ci infarcisce di valori e credenze che diventano poi maschere fuorvianti.
Ci dobbiamo adattare a vivere nella finzione di dover essere costantemente adeguati.
Adeguati: pena la solitudine.
Ma io nella solitudine mi ci cullo.
Propongo il me che non ha vincoli, libero di essere come sono.
Per cui non sono quasi mai come le parole che scrivo.
Sono peggiore se costretto alla sopravvivenza.
In difesa: in attacco, quindi.

Vorrei concludere ora.
In questa bella mattina di sole.
Vorrei che continuassimo a scriverci perché farlo mi dà l’occasione del confronto.
Perché è forse grazie a questo scambio epistolare che ho tentato di descrivere quel che altrimenti avrei tralasciato; e avrei perso un’occasione.
E perché mi piace.
E non ho ragionevolmente dei buoni motivi per non fare quel che mi piace.
E in questa mattina, prosieguo ideale di quel tramonto, lancio il post.
A presto.

Cristiano Prakash Dorigo

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