Spettabile
Ferdinando Camon,
ho
letto il suo editoriale sulla Nuova Venezia e confesso di essere rimasto
impietrito.
Raramente
ho letto un’invettiva tanto sconsiderata e pericolosa, da una persona che
considero attenta e moderata: lei arriva a dire, anzi esordisce così, che
l’assassino non è chi ha sparato, ma i ladri; tradendo tra l’altro, oltre al
senso, anche logica e significato. Continua l’articolo dicendo che il
commerciante ha il diritto di difendere i propri beni, e che se sorprende i
ladri mentre scappano, e non li ferma, rischia di perdere tutto e di non venire
mai più risarcito.
Lei è troppo preparato per non capire e non sapere che le
sue parole sono pura demagogia- chi non sarebbe d’accordo con l’affermazione
che ognuno ha il diritto di difendere i propri beni?-, e rasentano
l’istigazione alla giustizia sommaria, perché l’articolo affronta l’uccisione
di un ladro da parte di un commerciante- mi delude, come quando chi si
pronuncia a difesa della pena di morte, lo fa dicendo “vorrei vedere se facessero
del male ai tuoi cari”-.
Per
dar forza alle sue tesi descrive anche la psicologia del ladro, facendone un
ritratto posticcio, arbitrario, come se qualcuno potesse nutrire simpatia nei
loro confronti, o non capisse la portata della disperazione di chi subisce un
torto, che è anche una profanazione violenta.
Troppo
semplice, troppo facile, troppo pericoloso.
Lei
cita inoltre il clima di esasperazione con cui ci troviamo tutti a convivere,
percepito o concreto che sia, concausa con cui mi ritrovo d’accordo.
E
spero che sia questo stesso clima ad averla spinta a scrivere queste parole,
non certo compassionevoli e comprensive, come ci si aspetterebbe, o come almeno
io mi aspetterei, da uno scrittore che scrive in un giornale. Uno che dovrebbe
fornire uno sguardo, offrire una suggestione, aiutare a tradurre le complessità che la moderna vita sociale
ci riserva.
Cristiano Prakash Dorigo
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