domenica 29 aprile 2012

anonima: altra non risposta


Cara anonima 2

Cara anonima,
non so come iniziare a dire che non sento, in questo preciso istante, alcuna attitudine a risposte attendibili.
Sono a secco di cronache coinvolgenti, e al massimo ho da offrire un’ordinaria quotidianità.
Ma tant’è, qualcosa ne verrà fuori.

In questo periodo sto rivedendo la gerarchia delle priorità della mia vita.
La mia vita è stata finora una miscellanea di avvenimenti più o meno pregnanti e significativi. Di questi ho selezionato i più importanti e scartato gli inutili.
Questo è ciò che m’illudo sia: la verità però, nella sua totalità, quella nascosta e segreta, messa in un cantuccio, è pronta, al bisogno, ad uscire: attende senz’ansia di essere richiamata in superficie.
Per cui, talvolta, proprio quando non aspetto nulla, d’improvviso si manifesta nei modi più strani. Può essere un sogno, un calo d’umore passeggero, un benessere momentaneo. Tutta roba che va e viene senza che io ne richieda la presenza.
Mi viene da pensare che, tra le cose che vengono così con le loro gambe senza che le abbia invitate, ci sei anche tu.
Prima di offenderti, però, lasciami il tempo di spiegare. E considera anche però, come dicevo all’inizio di questa mia, che sto andando avanti facendomi portare dalle dita che scrivono senza che io le comandi: senza trame o teorie; sono servo di queste dita che battono i tasti.
Bada bene però: un servo felice di obbedire.
Dicevo: tu, paradigma dell’improvvisazione; di quel che c’è, là, nascosto, e che di solito non si nota, ma che poi compare per ragioni misconosciute.
Sono insomma consapevole di non esserlo; consapevole, intendo.
E con consapevolezza intendo attenzione, coscienza; di ciò che accade e perché.

In questo periodo ho vissuto dei momenti in cui il tempo non era calcolabile col tempo.
Mi spiego meglio.
Il tempo ordinario, supponiamo quello del lavoro, dura da, a: inizi alle otto di mattina e sai che finirai alle due del pomeriggio.
Quelle sei ore sono un tempo ordinario, calcolabile in forma lineare, cui ci si abitua talmente che alla fine l’orologio serve solo a confermare che la percezione del tempo è corretta – del tipo: c’ho una fame, dev’ essere almeno l’una -.
Per cui viviamo per la maggior parte in sintonia biologica col tempo.
Forzata, schiavizzante, se vuoi, ma non intendo questo; non ora, almeno.
Dunque: il tempo è definito e misurabile per convenzione.
Ma ti è mai capitato – è una rarità ma sono certo che mi capirai – di sentirti in una dimensione totalmente destrutturata rispetto al tempo e allo spazio?
Tipo tu sei in un dato posto ad una tal ora ma questo è ininfluente, in quel preciso istante, per una sorta di magia spazio-temporale, ovunque tu sia, sei al centro esatto della scena e il tempo smette di essere un vincolo o una risorsa perché non è più. Ha smesso di funzionare in modo organizzato ed è totalmente a tua disposizione perché in quei momenti tu sei totalmente presente, e anche assente però, e semplicemente sei. Senza più fare, pensare; sei solo respiro e massa fisica che si scioglie, si amalgama e compenetra nella materia circostante.
Quei momenti accadono senza che noi abbiamo chiesto permessi, o proferite preghiere, o chiusi gli occhi, o smesso di essere, o iniziato a essere: succede in modo miracoloso e inaspettato, e ce ne accorgiamo e riusciamo a testimoniarlo, attraverso l’esperienza.

Ti racconto per mezzo di un gioco per ragazzi della play station, questa cosa sul tempo.
L’altro giorno assistevo ad una partita di un giochetto di cui non ricordo il nome. Consisteva nel vincere una gara svolta con mezzi improbabili tipo macchinette, contro una galleria di personaggi assurdi. Ogni scorrettezza è ammessa e addirittura incentivata da casse che contengono trucchi di ogni genere per sbaragliare l’avversario. Tra questi strumenti trita-avversari ce n’è uno col simbolo di sveglia: questa consente di godere di una velocità normale mentre tutti gli altri rallentano come vittime di una moviola che investe, per qualche secondo, soltanto loro. La grafica riproduce efficacemente un ambiente rarefatto dove, per qualche tempo, tutto rallenta.

Insomma t’è mai capitato di vedere una luce cristallina, una pulizia nell’aria; di sentire una chiarezza e serenità mentali, una profonda pace interiore senza ragioni che le giustificassero?
Il tutto, di una forza straordinaria; di una delicatezza emozionante; di un fulgore abbagliante ma amico?
A me sì!
E so che succederà ancora.
Ma, poi, non so se sentirmi triste quando torno a vedere e sentire attraverso il filtro della normalità, con la tara della paura, con l’attacco di quando mi difendo.
Non so più che dire, cara amica anonima.
Ti chiamo amica pur non sapendo cosa pensi dell’amicizia.
In amicizia, io, vorrei essere sciolto, non sentirmi minacciato. Essere liscio seppur pieno di conflitti.
Amare con passione.
Ed avere, come unico desiderio, quello di essere sempre così.

La sera, come ogni giorno, di sera, sta avvolgendo la città e i pensieri.
E ora inoltrerò questa lettera così com’è, senza ripensamenti o correzioni.
L’ho scritta in bella e non l’ho corretta.
Perché tra amici si deve avere anche il coraggio di sbagliare.
Attendo la tua prossima, se vorrai scriverla.
Ciao.

Cristiano Prakash Dorigo

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