Un'altra gerarchia: quella dei capi.
Il primo racconto del libro si intitola "supermarket nord est". Descrive la giornata di un lavoratore di supermercato. Una giornata forse decisiva, raccontata tra cronaca di lavoro e digressioni varie: eccone un estratto.
C
Il lunedì mattina è dedicato alla preparazione del banco, alla pulizia, alla messa a punto del magazzino che, alle 14.00 precise ( traffico permettendo), riceverà nuova merce.
Con i carrellini porto i prodotti dalla cella al reparto.
Per dare sempre il giro alla merce, ad ogni nuovo arrivo, si timbrano le cassette con la data del giorno cosicché non si possa confondere il nuovo con il giacente.
Con la frutta è più semplice: basta esporla stando attenti a mettere i freschi sotto a quelli avanzati ( anche se in realtà non si arriva quasi mai ad avere merce vecchia).
Si deve comunque controllare che tutto abbia un aspetto più che invitante; anche a costo di buttare via quello che non lo è più, quello che risulta imperfetto, che potrebbe incrinare la credibilità del prodotto.
Con la verdura, invece, il procedimento è molto più laborioso. Bisogna passare in rassegna ogni singolo pezzo e fare i dovuti ritocchi.
Così con l'insalata, coi finocchi, cavolfiori, sedano e via discorrendo.
E le ore passano inesorabili, rapide, impietose.
Qualche volta capita che, nella frenesia del tagliare, tagliuzzare, correggere, scartare, riesco a ritagliarmi momenti di riflessione, nel senso che penso non solo a quello che sto facendo in quell'istante, ma più in generale alla mia vita.
Alla mente arrivano immagini poco chiare, rarefatte, rallentate che attribuisco alla mia indole lenta, la quale invia messaggi criptati che pretendono ascolto, rispetto.
La lentezza mi ha sempre contraddistinto. Non riesco a essere lesto, veloce e la frenesia mi violenta e mi allontana dalla mia intima natura; e ne soffro, pagando in termini di instabilità umorale, di sonno inquieto, di sogni tormentati.
Somatizzo con gastriti, coliti, blocchi intestinali.
Mi lascio ammalare senza riuscire a contrastare questa coazione, abbandonandomi a stati di abnegazione e volontà altrui, che rispondono ad un dovere inculcato a forza, senza averlo mai accettato, ma soltanto passivamente subito.
Lui aveva capito e cominciava a parlarmi del collega-capo-reparto, come di un buon soldato che però, al massimo, poteva diventare sergente: non aveva i mezzi strutturali per poter aspirare a più di quello.
Diceva: “ Capisco che fra noi non c'è molta simpatia, ma non è indispensabile al lavoro. Non lo è se si discute in termini di concretezza. Come si chiama quell'autore tedesco; come si pronuncia, Ghete? Quello che ha scritto “affinità elettive”! “.
“ Si pronuncia Ghoete”, lo avevo corretto( non lo avevamo mai letto, ma studiato appena nelle antologie di scuola: eppure, pur senza sapere, ne parlavamo come avessimo confidenza con la sua opera).
“ Sì, ecco, proprio quello. Lo so che non abbiamo molte affinità; tuttavia so riconoscere le persone che hanno potenziale inespresso, e so separare emozioni e raziocinio. Ma ricorda: se vuoi far carriera devi: “credere, obbedire, combattere”. Pensaci: non devi rispondermi ora, lo farai quando avrai deciso. Ciao Dorigo ( mi chiamava sempre col cognome e mi dava del tu, come in caserma dove i superiori trattano i subalterni allo stesso modo)”.
“ Arrivederci”, avevo risposto, mi pare.
Non so che espressione avevo assunto quella volta, ma mi ero sentito morire( più che morire, sarebbe più preciso dire sprofondare, soffocare).
Tutto era caduto, crollato, si era rotto.
Tutte le mie sciocche fantasie di poter fare un lavoro che non m'impegnasse oltre l'orario, di cui non m'importasse nulla, svanirono.
Non era solo per il motto fascista, pronunciato con sinistra ironia( si difendeva con l'ironia per poter attaccare chiunque con un sorriso); era la sensazione di essere in trappola, la razionalizzazione che non si può lavorare solo per lo stipendio; troppo comodo, leggero; un tipo di leggerezza non autorizzata. E la consapevolezza che dividerci, esaltarci con vaghe promesse, per ottenere il nostro controllo: era il solito vecchio trucco del dividi e impera.
Ma c'era anche, strisciante, sordo, il compiacimento derivante dall'essere apprezzati, riconosciuti, gratificati. La discrepanza, la vergogna, il distacco tra questi sentimenti contrastanti apriva voragini in cui precipitavo in caduta libera, come uno che si rende conto di essere uno stupido omino vanitoso, senza essersene mai accorto prima.
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