Impressioni sui tre giorni di reading "incontemporanea", Venice jazz festival
Avevo già scritto una pagina ma poi ho cancellato tutto.
Mi chiedevo, mentre scrivevo, cosa mi piace leggere, e cosa scrivere, quale sia il mio tono; mi sono risposto che quello che mi piace, è la scrittura viva, autentica, e che appena annuso il mestiere, la pagina ripiena di bella forma, mollo tutto.
Anche per quanto concerne la lettura, nel senso di reading, vale lo stesso.
Con questi presupposti mi sono avvicinato ai tre reading curati da Stefano Spagnolo, all'interno della rassegna Venice jazz festival, alla fondazione Querini Stampalia.
Digressione, ma non troppo. Giovedì della settimana scorsa ho fatto io stesso un reading al Teatro Marinoni bene comune del Lido-vedi post sul blog-; lo dico perché la differenza,in termini formali, ambientali, è abissale: lì era tutto fatiscente, cadente, con un fascino teatrale intrinseco; la sala della Querini invece, poltrone in pelle, aria condizionata, service e impianti da grandi occasioni. Lo sottolineo per il contrasto, a me molto evidente, e per come, oltre al posto in quanto tale, che conta eccome, questo non possa sopperire alla qualità di quello che si propone: le parole, e l'accompagnamento.
E lo dico subito: la qualità non è mancata e, come ho ripetuto più volte a Stefano, anche il coraggio di osare, con autori e performance molto particolari e diverse tra loro, invece di puntare su nomi più sicuri, rassicuranti, conosciuti.
Il primo giorno, martedì, è quello che mi mette più in difficoltà. Confesso di adorare Emidio Clementi, per cui temo di essere poco obiettivo. Ha letto quattro racconti, di cui uno inedito, accompagnato alla chitarra da Stefano Pilia, dei Massimo Volume- !-, con la maestria e la naturalezza di chi, da anni, sperimenta un modo nuovo di fare musica e parole, cui molti si sono ispirati. Racconta quello che deve raccontare, storie di largo respiro che scaturiscono da piccoli particolari, e crescono, toccano, incidono e tornano a rimescolarsi alla vita. Ma non posso tralasciare un particolare, forse poco letterario: la sua gentilezza e disponibilità, che non tradiscono l'idea che sarebbe bello averlo come amico. So che questa è una proiezione personale, forse un auspicio inconscio, ma mi aiuta a dare spessore, carne, a quello che altrimenti rimarrebbe una sorta di piccolo mito, a uso e consumo dei misteri proiettivi che ognuno di noi ha nei confronti di alcune persone.Bravissimo anche Pilia, ma insomma: questi giocavano in casa, e il minimo che si potesse pretendere era l'eccellenza, nel loro caso, sorella gemella della confidenza e della complicità.
Mercoledì, terreno molle, insidioso.
Francesco Targhetta e i Father Murphy, entrambi veneti, ci offrono una versione poco veneta, più metropolitana, nordica: molto rock, di tipo sperimentale, intricato, a tratti violento. Il testo è poetico e concreto, tragico, colloso. La musica a tratti è predominante, visionaria, e il gruppo è fisico, estetico, ingombrante e delirante.
Ne esce una prova alienante, intensa, coraggiosa.
Giovedì, poesia tutta al femminile.
Sul palco, colore, oggetti di ogni genere: palloncini colorati, chitarra, carillon, campanelli, computer, armonica, scacciapensieri, ecc.
Francesca Genti, accompagnata da un'altra poetessa silente, Manuela Dago, recita e legge le sue poesie; per ciascuna di queste, un oggetto suona e rumoreggia, per accompagnare la lettura. Altra performance poco convenzionale, volutamente "strana", originale, senza però cadere nella trappola dell'autocompiacimento. Che dire delle poesie? Evocative, intime, provocatorie, forti senza forzare il tono o la lingua. La lettura è dolce, anche quando le parole lacerano.
L'altro giorno parlavo con una conoscente, la quale, sapendo che nel pomeriggio sarei andato a sentire una poetessa, mi ha detto, più o meno: che palle! Ma come si fa ad andare a chiudersi in biblioteca ad ascoltare una poetessa in pieno agosto, a Venezia?
Le ho risposto come quando mi chiedono dove trovo il tempo di scrivere e preparare le letture che seguono la scrittura. Aggiungendo magari che sono stanche morte, che ce la fanno a malapena a reggere i ritmi di questa assurda vita moderna.
Rispondo dicendo la verità: " come potrei semmai fare senza? Mi sentirei morto se vi rinunciassi!".
Giovedì scorso, al Marinoni, prima della lettura, c'è stato un breve confronto con Elisa, una delle ragazze che fanno parte del comitato che sostiene l'occupazione.
Parlavamo del mio libro, e non solo, credo e spero.
Dicevo che i racconti sono stati scritti nell'arco degli ultimi dieci anni, che per me sono stati particolarmente pesanti, difficili, in termini di situazione politica e civile. E aggiungevo che il fatto di trovarsi in quel posto, rappresentava, secondo me, un'istanza di libertà il fatto di poter scegliere di andare a teatro piuttosto che no, fa la differenza. Una società civile deve concedere il diritto alla libertà di scelta.
Se penso alla mia Venezia, ormai rinsecchita, morta, spolpata della sua vitalità, e penso a come, poco alla volta, abbiano chiuso cinema, negozi, librerie; poi è toccato ai prezzi delle case, all'invasione di negozi di souvenir Made in china e zone limitrofe; alla qualità dei bar e dei ristoranti trasformati in luoghi per turisti mordi e fuggi. Alle speculazioni, alle grandi navi; se guardo alla costante decrescita degli abitanti, trasformando il tessuto urbano in massa di pendolari, non posso che vedere con disagio un preciso disegno politico, e augurarmi che l'intelligenza e l'arte non si spengano del tutto.
E l'intelligenza e l'arte, non si coltivano chiusi in casa, davanti alla televisione.
Cristiano Prakash Dorigo
Nessun commento:
Posta un commento