mercoledì 29 febbraio 2012


Pensieri che


Un pensiero fisso.
Un solo gesto ha aperto un varco, scolpito un solco nella visione della realtà, per quel che è. Ed è uno sguardo nel nulla, rivolto ad un pensiero che fa arrossire.
Pur nel mezzo di un autobus affollato, l’urgenza di un attimo di riflessione, per capire, o meglio, tradurre, quel preludio di instabilità mista a gioia. Ma anche colpa che schiaccia il petto e accelera il respiro che si fa disordinato; piccoli bocconi d’aria, che entrano ed escono irregolari.
Il telefono in mano attende che una sensazione si confermi attraverso il messaggio che sa, lo sente, dovrà arrivare; per forza, altrimenti sarebbe tutto sbagliato e l’equilibrio che ha accettato di rimettere in discussione, una forzatura dolorosa.
Lo guardo fissa il nulla, in attesa che il tempo passi senza che lo senta scorrere, come un’interruzione catatonica, ma svuotata di sentimento.
L’autobus procede penetrando il buio che ormai sta prendendo confidenza con l’autunno, e arriva presto.Il buio, col suo respiro più greve, con la tentazione di lasciare gli alibi e le piccole finzioni d’ogni giorno, alla luce. Tanto nessuno al buio ci vede, possiamo smettere di non essere, e iniziare a guardare con gli occhi puliti quello che le cose, sono.

L’incanto viene interrotto dal suono di un messaggio.
Torna al tempo, alla realtà.
È Andrea, il suo ragazzo, che le chiede dov’è perché stasera ha finito presto e vuole preparare lui, la cena. Ha già fatto la spesa e aspetta solo il suo via.
Andrea è un caro ragazzo. Sono assieme da tre anni e stanno pensando al matrimonio. Stasera lei cena da lui, come ogni sera, da un po’ di tempo. Poi se ne torna a casa perché non si vive assieme se non si è sposati. Semplicemente non si può, e non c’è dubbio o pensiero che ne metta in discussione la giustezza.
Lei è perfettamente d’accordo.
Qualche anno prima era anche in armonia con l’idea che bisogna sposarsi prima di avere rapporti completi. Anche Andrea trovava comprensibile quella presunzione di verità che ha che fare con la virtù, con il controllo consapevole delle pulsioni.
Tuttavia tra loro c’erano differenze, culturali e religiose, notevoli.
Lui non le aveva mai nascosto di aver avuto rapporti completi in precedenza: per sincerità, senza scendere in particolari che potessero umiliarla o ferirla.
La famiglia di lei era aperta alle altrui credenze pur conservando e difendendo una robusta tradizione cattolica. Ma era di quelle abituate a discutere senza remore il valore della fede come profonda dimensione spirituale, senza vergogna o tentennamenti.
Per niente dogmatica, libertaria e sicura che anche i loro figli, quattro, due maschi e due femmine, fossero sulla loro stessa frequenza.
Sapevano che lei andava da Andrea e che lui viveva da solo da qualche anno e mai avevano proferito parola.
Sul fatto di vivere assieme, comunque, non era nemmeno lontanamente un punto che si potesse discutere, in quanto implicito e inciso, come marchio, nella loro morale familiare.
Lei aveva in un certo modo tradito la loro fiducia e si era lasciata andare, senza forzature, ad una pratica sessuale che escludeva soltanto la penetrazione. Tutto il resto era concesso.
Per lei era una pratica rilassante anche sa a volte fingeva un coinvolgimento che in realtà le mancava.
Come se diventare moglie, perché così sarebbe stato, nessuno ne dubitava anche se nessuno ne aveva mai parlato, prevedesse anche dei sacrifici, oltre ai benefici. Una sorta di impegno per cui, si sa, gli uomini sono spesso esuberanti e bisogna assecondarli se non si vuole che venga loro qualche strano pensiero verso altre donne.
Risponde al messaggio dicendo che sta per prendere l’autobus, che sarebbe arrivata entro dieci minuti.

Voleva prendere tempo, capire.
E al tempo stesso non voleva.
Non sapeva più cosa farne di quella sensazione che le saliva da sotto e andava e veniva e scaldava la pancia e la indolenziva.
Le bastava la voce, o immaginarla soltanto.
Se lo sentiva al telefono, schiacciava lo stesso all’orecchio per sentire se, così, quella voce poteva entrare dentro e farsi un giro.
E quando ce l’aveva davanti, adesso, cercava il suo sguardo continuamente, anche se soltanto per un secondo, voleva sentirsi accarezzata da quegli occhi.
Eppure fino a poco tempo prima, non aveva mai avuto il coraggio di farsi toccare da quelle mani perché non sapeva cosa sarebbe successo. Aveva paura di svenire, svanire, farsi liquida e colargli addosso.
Suonò il campanello e scese due fermate prima. Aveva bisogno di stare da sola, in compagnia di quel pensiero che aveva sempre dominato, finora, ma che era ormai diventato palese.
In testa turbinavano parole e dubbi, paure, tentazioni.
Chi parlava dentro lei, chi ordinava quel che sì o quel che no. Che faccia aveva chi pronunciava quel verbo che sembrava, sin poco tempo prima virtù, piena e condivisa; e ora era solo coercizione , prigione dell’istinto.
Il cielo ormai scuro, le luci dei negozi, i cartelloni pubblicitari, la puzza degli scarichi delle auto, i clacson; chiacchiericcio di città, indifferente.

Che cos’è l’amore, il vero amore?
Solo Dio poteva conoscere la risposta.
Lei, e ciascuno singolo essere umano, potevano tentare di capirlo, ma non sapere se davvero, quel che le loro esperienze insegnavano, potevano esserne testimonianza.
Quel che il suo corpo diceva, era forse soltanto tentazione. Di leggerezza, di abbandono, di fugace felicità.
E ogni segnale, come il calore, l’inturgidimento, la liquidità degli umori, la rappresentazione pratica di questa tentazione.
E allora come, cosa fare?
I difetti: il suo alito se aveva dormito o fumato; oppure quando le rinfacciava di essere poco indipendente; l’attaccamento alla famiglia; l’incapacità cronica di decidere. Così lui diventava brutto, indesiderabile, sporco. Come quando non si faceva il bidet, o non si lavava mani o denti. O quando la sua barba le grattava, fino a scorticarla, il viso.
Sei brutto Andrea; sei noioso, giudicante, puzzolente.
I tuoi occhi e le tue intenzioni sono palesi e patetiche come quelle di ogni altro uomo di questo mondo.
Siete tutti uguali, e tu sei appena un po’ meglio.

L’aria era frizzante. Sentiva una vaga sensazione di nausea, di origine ansiogena le pareva.
L’incertezza provocava disagio.
Pensava ad Andrea, a quel suo cucinare sghembo. Lo vedeva là, in cucina, in piedi, con le ciabatte e il grembiule sozzo. Era allegro, le raccontava, quando sapeva che lei andava lì con lui. Parlava sciolto, senza seguire un senso, e di solito faceva tutto lui: cucinare, servire, sparecchiare, lavare i piatti.
E pensava alla cena a casa dei genitori, così formale, anche se calda e accogliente.
Passava davanti ad un cartellone che raffigurava una ragazza in mutande e reggiseno. Lo guardò senza vederlo.
Frugò nella borsa con le dita agili.
Estrasse il cellulare.

sì, pronto.”
ciao Andrea, sono io. Scusa, ma volevo avvisarti che stasera non vengo”
e me lo dici solo adesso che è quasi pronto? Ma è successo qualcosa?, ti sento strana”
no, solo non mi sento bene. Non so spiegarlo. Ma i miei non mi vedono mai e farebbe loro piacere se qualche volta cenassi con loro”
sì, è vero. Ma non puoi domani: ormai è quasi pronto”
no, vado a casa. Ci si vede domani”
va bene, non insisto. Anche se ti sento strana. Sei sicura di non volerne parlare?”
non ti preoccupare, domani ti spiego. Ciao”
ciao”

cristiano prakash dorigo

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