Pensieri che
Un
pensiero fisso.
Un
solo gesto ha aperto un varco, scolpito un solco nella visione della
realtà, per quel che è. Ed è uno sguardo nel nulla, rivolto ad un
pensiero che fa arrossire.
Pur
nel mezzo di un autobus affollato, l’urgenza di un attimo di
riflessione, per capire, o meglio, tradurre, quel preludio di
instabilità mista a gioia. Ma anche colpa che schiaccia il petto e
accelera il respiro che si fa disordinato; piccoli bocconi d’aria,
che entrano ed escono irregolari.
Il
telefono in mano attende che una sensazione si confermi attraverso il
messaggio che sa, lo sente, dovrà arrivare; per forza, altrimenti
sarebbe tutto sbagliato e l’equilibrio che ha accettato di
rimettere in discussione, una forzatura dolorosa.
Lo
guardo fissa il nulla, in attesa che il tempo passi senza che lo
senta scorrere, come un’interruzione catatonica, ma svuotata di
sentimento.
L’autobus
procede penetrando il buio che ormai sta prendendo confidenza con
l’autunno, e arriva presto.Il buio, col suo respiro più greve, con
la tentazione di lasciare gli alibi e le piccole finzioni d’ogni
giorno, alla luce. Tanto nessuno al buio ci vede, possiamo smettere
di non essere, e iniziare a guardare con gli occhi puliti quello che
le cose, sono.
L’incanto
viene interrotto dal suono di un messaggio.
Torna
al tempo, alla realtà.
È
Andrea, il suo ragazzo, che le chiede dov’è perché stasera ha
finito presto e vuole preparare lui, la cena. Ha già fatto la spesa
e aspetta solo il suo via.
Andrea
è un caro ragazzo. Sono assieme da tre anni e stanno pensando al
matrimonio. Stasera lei cena da lui, come ogni sera, da un po’ di
tempo. Poi se ne torna a casa perché non si vive assieme se non si è
sposati. Semplicemente non si può, e non c’è dubbio o pensiero
che ne metta in discussione la giustezza.
Lei
è perfettamente d’accordo.
Qualche
anno prima era anche in armonia con l’idea che bisogna sposarsi
prima di avere rapporti completi. Anche Andrea trovava comprensibile
quella presunzione di verità che ha che fare con la virtù, con il
controllo consapevole delle pulsioni.
Tuttavia
tra loro c’erano differenze, culturali e religiose, notevoli.
Lui
non le aveva mai nascosto di aver avuto rapporti completi in
precedenza: per sincerità, senza scendere in particolari che
potessero umiliarla o ferirla.
La
famiglia di lei era aperta alle altrui credenze pur conservando e
difendendo una robusta tradizione cattolica. Ma era di quelle
abituate a discutere senza remore il valore della fede come profonda
dimensione spirituale, senza vergogna o tentennamenti.
Per
niente dogmatica, libertaria e sicura che anche i loro figli,
quattro, due maschi e due femmine, fossero sulla loro stessa
frequenza.
Sapevano
che lei andava da Andrea e che lui viveva da solo da qualche anno e
mai avevano proferito parola.
Sul
fatto di vivere assieme, comunque, non era nemmeno lontanamente un
punto che si potesse discutere, in quanto implicito e inciso, come
marchio, nella loro morale familiare.
Lei
aveva in un certo modo tradito la loro fiducia e si era lasciata
andare, senza forzature, ad una pratica sessuale che escludeva
soltanto la penetrazione. Tutto il resto era concesso.
Per lei era una pratica rilassante anche sa a
volte fingeva un coinvolgimento che in realtà le mancava.
Come se diventare moglie, perché così sarebbe
stato, nessuno ne dubitava anche se nessuno ne aveva mai parlato,
prevedesse anche dei sacrifici, oltre ai benefici. Una sorta di
impegno per cui, si sa, gli uomini sono spesso esuberanti e bisogna
assecondarli se non si vuole che venga loro qualche strano pensiero
verso altre donne.
Risponde
al messaggio dicendo che sta per prendere l’autobus, che sarebbe
arrivata entro dieci minuti.
Voleva
prendere tempo, capire.
E
al tempo stesso non voleva.
Non
sapeva più cosa farne di quella sensazione che le saliva da sotto e
andava e veniva e scaldava la pancia e la indolenziva.
Le
bastava la voce, o immaginarla soltanto.
Se
lo sentiva al telefono, schiacciava lo stesso all’orecchio per
sentire se, così, quella voce poteva entrare dentro e farsi un giro.
E
quando ce l’aveva davanti, adesso, cercava il suo sguardo
continuamente, anche se soltanto per un secondo, voleva sentirsi
accarezzata da quegli occhi.
Eppure
fino a poco tempo prima, non aveva mai avuto il coraggio di farsi
toccare da quelle mani perché non sapeva cosa sarebbe successo.
Aveva paura di svenire, svanire, farsi liquida e colargli addosso.
Suonò
il campanello e scese due fermate prima. Aveva bisogno di stare da
sola, in compagnia di quel pensiero che aveva sempre dominato,
finora, ma che era ormai diventato palese.
In
testa turbinavano parole e dubbi, paure, tentazioni.
Chi
parlava dentro lei, chi ordinava quel che sì o quel che no. Che
faccia aveva chi pronunciava quel verbo che sembrava, sin poco tempo
prima virtù, piena e condivisa; e ora era solo coercizione ,
prigione dell’istinto.
Il
cielo ormai scuro, le luci dei negozi, i cartelloni pubblicitari, la
puzza degli scarichi delle auto, i clacson; chiacchiericcio di città,
indifferente.
Che
cos’è l’amore, il vero amore?
Solo
Dio poteva conoscere la risposta.
Lei,
e ciascuno singolo essere umano, potevano tentare di capirlo, ma non
sapere se davvero, quel che le loro esperienze insegnavano, potevano
esserne testimonianza.
Quel
che il suo corpo diceva, era forse soltanto tentazione. Di
leggerezza, di abbandono, di fugace felicità.
E
ogni segnale, come il calore, l’inturgidimento, la liquidità degli
umori, la rappresentazione pratica di questa tentazione.
E
allora come, cosa fare?
I
difetti: il suo alito se aveva dormito o fumato; oppure quando le
rinfacciava di essere poco indipendente; l’attaccamento alla
famiglia; l’incapacità cronica di decidere. Così lui diventava
brutto, indesiderabile, sporco. Come quando non si faceva il bidet, o
non si lavava mani o denti. O quando la sua barba le grattava, fino a
scorticarla, il viso.
Sei
brutto Andrea; sei noioso, giudicante, puzzolente.
I
tuoi occhi e le tue intenzioni sono palesi e patetiche come quelle di
ogni altro uomo di questo mondo.
Siete
tutti uguali, e tu sei appena un po’ meglio.
L’aria
era frizzante. Sentiva una vaga sensazione di nausea, di origine
ansiogena le pareva.
L’incertezza
provocava disagio.
Pensava
ad Andrea, a quel suo cucinare sghembo. Lo vedeva là, in cucina, in
piedi, con le ciabatte e il grembiule sozzo. Era allegro, le
raccontava, quando sapeva che lei andava lì con lui. Parlava
sciolto, senza seguire un senso, e di solito faceva tutto lui:
cucinare, servire, sparecchiare, lavare i piatti.
E
pensava alla cena a casa dei genitori, così formale, anche se calda
e accogliente.
Passava
davanti ad un cartellone che raffigurava una ragazza in mutande e
reggiseno. Lo guardò senza vederlo.
Frugò
nella borsa con le dita agili.
Estrasse
il cellulare.
“sì,
pronto.”
“ ciao
Andrea, sono io. Scusa, ma volevo avvisarti che stasera non vengo”
“ e
me lo dici solo adesso che è quasi pronto? Ma è successo qualcosa?,
ti sento strana”
“ no,
solo non mi sento bene. Non so spiegarlo. Ma i miei non mi vedono mai
e farebbe loro piacere se qualche volta cenassi con loro”
“ sì,
è vero. Ma non puoi domani: ormai è quasi pronto”
“ no,
vado a casa. Ci si vede domani”
“ va
bene, non insisto. Anche se ti sento strana. Sei sicura di non
volerne parlare?”
“ non
ti preoccupare, domani ti spiego. Ciao”
“ ciao”
cristiano
prakash dorigo
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