giovedì 16 febbraio 2012


Davanti al mare, seduto, tardo pomeriggio.
Sto in piedi e guardo e ascolto.
Sembra tutto, sempre, uno stesso moto perpetuo.
Sto così un minuto, cinque, dieci.
Poi mi siedo, decido.
Rilasso le spalle, che mi accorgo essere tese.
In posizione a gambe incrociate, rilassando il più possibile i muscoli.
Che non è che si rilassino il più possibile; basta non tenderli.

Seduto così a gambe incrociate, m’accorgo di non essermi messo comodo prima perché pensavo agli altri; a cosa avrebbero potuto pensare di me.
Di quest’uomo-ragazzo che viene in spiaggia con la figlia e che legge, sta spesso in silenzio, non socializza come gli altri.
Che ha perduto da poco persone importanti che non vivono più.
che stia impazzendo, che stia piangendo, che stia così per posa?”
sto nullando, sto nientendo”, risponderei loro.
e dovreste provarci, qualche volta”, aggiungerei.
sapeste quanto sia ricco questo apparente nulla immutabile, questo rumore di onde, questa schiuma, quest’orizzonte, questa bellezza evidente eppure mesta, disinteressata all’esibizione”, direi, se avessi voglia di parlare.
E invece taccio.
E ristoro la mente, quieto i pensieri, smusso gli angoli, tradisco la fretta, aborrisco l’inutilità, sposo e bacio e lecco l’essenza.

Poi m’alzo.
Lo faccio quando m’accorgo che quella gioia sta per diventare posa.
Quando l’orgoglio di saper talvolta vedere e sentire diventa orgoglio.
L’ego non dà tregua.
E mi riporta al sonno delle abitudini.
Sono stato bene con me.
Quando mi sono dimenticato di me, e sono stato.
Ritorno con calma verso un gruppo di conoscenti e chiedo se han bisogno d’aiuto, per riportare alla base, “la capanna” – che spiegherò cos’è, per chi non è mai stato al Lido di Venezia, un giorno -, le molte cose che avevano trascinato in riva al mare.

Mi volto per un ultimo sguardo verso il mare.
Ma vedo solo sabbia e acqua.

cristiano prakash dorigo

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