Brevemente:
da qualche anno hanno occupato in quanto c’era il rischio di vendita del
palazzo, scongiurato il quale, il senato accademico ha deciso di investire e
restaurare, e ha inoltre riconosciuta la meritoria attività culturale del
gruppo di occupanti.
Insomma,
cadute le ragioni dell’occupazione, hanno deciso di confrontarsi in un contesto
più formale.
Ecco
alcune suggestioni che mi giravano in testa mentre li ascoltavo.
Pensavo
soprattutto ad un elemento primario: al bisogno ancestrale di esistere in
relazione con gli altri.
Ogni
occupazione ha in sé spinte e istanze discutibili, discusse, giuste o
sbagliate, condivisibili o meno. E quasi ogni volta si discute in termini di
diritti, di violazioni, di spazi, di recriminazioni che suonano, ambo le parti,
vuote: lo sembrano perché paiono voler raggiungere uno scopo, e che per
raggiungerlo occorra sfoderare il pacchetto di parole retoriche, un po’ finte,
o quantomeno non sentite, ma solo strategicamente pronunciate.
A
me pare che il punto centrale fosse il desiderio o, mi ripeto, il bisogno, di
stare insieme, di discutere, di analizzare, di monitorare fenomeni legati nello
specifico al territorio, al suo svuotamento, alle azioni politiche che ne fanno
sempre più un tesoro da sfruttare, e sempre meno una città da abitare.
Il
tutto, con gentilezza e garbo
inconsueti, o almeno lontani dai luoghi comuni che immaginano tribù di
ragazzini infoiati che urlano cose senza senso.
L’università
come ponte tra il sapere formale degli studenti, e i bisogni della cittadinanza
che non ha spazi in cui trovarsi e parlare; organizzare eventi culturali perché
la cultura consente di tradurre e interpretare l’esistente.
Concludo
sottolineando come uno dei bisogni primari dell’uomo, quello di costruire
relazioni sociali, sia stato in questi anni compromesso da abitudini tendenti
all’isolamento. Ricordo la Venezia della mia infanzia, dove le calli, i campi,
le corti erano piene di persone che si trovavano, chiacchieravano, intessevano
relazioni. Era una comunità viva, attiva che formava un tessuto sociale
significativo: ma parlo di una città, di un comune, che contava quasi centomila
abitanti in più, che si sono spalmati nell’infinita suburbia del nord est: un
agglomerato bellino e ordinato, ma socialmente sterile, formato da pendolari
stanchi, da trasporti inefficienti, di cui tutti parlano e si lamentano, senza
però organizzarsi per porvi rimedio.
Pensavo
a questo mentre si dicevano le ragioni dell’occupazione e della decisione di
intraprendere una nuova fase, che riconosca le loro ragioni e le sdogani in
istanze pertinenti e importanti. E di come questa sia un’opportunità per tutti:
studenti, cittadini, associazioni: persone insomma, cui è data una possibilità
da non svilire, semplicemente appoggiandola, ma partecipandola.
Cristiano
Prakash Dorigo
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