mercoledì 19 febbraio 2014

pioggia svogliata e cronache cittadine

Piove una pioggia svogliata, cielo grigio, poca luce, nuvole basse a far da cappa alla città.
L'autobus si ferma, salgo con altre diciannove persone.
Sento un urlo, un'offesa a sentire i commenti, pronunciata con tono e linguaggio primordiale. Non ho capito cosa è stato detto, ma vedo correre il ragazzo che l'ha pronunciato, il quale fa gesti all'autista.
Tolgo le cuffiette, voglio capire.
Arriviamo al semaforo, dei rumeni commentano tra loro l'episodio, il ragazzo continua a correre accanto al bus.
Semaforo rosso, l'autista apre le porte, scende, l'altro scappa.
Vieni qua, gli dice, se hai coraggio.
Per tutta la strada, il ragazzo corre, l'autista lo guarda, mentre parla con una biondona russa coi jeans che le segnano il culo.
Attorno a noi, uno dopo l'altro, i negozi chiusi con scritto vendesi o affittasi. Su una trentina di negozi, almeno quindici hanno il cartello in vetrina e le serrande abbassate.
E siamo in centro. Una zona dove anni fa la vita pulsava. Ora è abitata per lo più da stranieri, il valore delle case ha subito un tracollo verticale, i negozi chiudono perché non ci sono più clienti.
Ogni tanto si vede qualche bar chiuso per intervento giudiziario.
Il ragazzo continua a correre.
Ha un giubbotto di due misure più grandi, un cappello col frontino in testa, lo zaino, un paio di braghe larghe, scarpe da ginnastica. È trasandato, pare sporco. Continuano a guardarsi inscenando una sfida piena di tensione e ridicola insieme.
Ho la fantasia che al prossimo semaforo il ragazzo prenderà a calci e sputi il bus, o che gli lancerà un sasso o chissà che.
E corre, continua a correre, pur non avendo l'aspetto di uno che fa sport, che ha fiato e gambe buone, se non per scappare quando gli corrono dietro.
Le fermate si susseguono, la biondona col culo scende, i rumeni parlano tra loro coi loro giubbotti in pelle fuori moda.
Piove, il cielo è grigio, i negozi in affitto o in vendita, uno aperto e uno chiuso, uno aperto e uno chiuso, e via così.
L'autista guida nervoso, tutto frenate e accelerazioni brusche.
Siamo quasi arrivati a Venezia, le fabbriche di porto Marghera non soffiano più fumo.
Questa città sta morendo, penso.
Questo Paese sta marcendo, penso.
E qualcuno pensa che sia a causa degli stranieri.
E molti non sanno che l'idiozia li abita, ed è indigena.
Siamo quasi arrivati, mi rimetto le cuffiette.
Guardo l'acqua bassa della laguna, le rotaie arrugginite del tram, ascolto gli Smiths che cantano " it's time the tale were told/ of how you took a child/ and you made him old...".
All'improvviso una botta, una frenata, una donna senza culo col segno bianco della ricrescita urla.
Tolgo le cuffie.
Davanti al bus il ragazzo giace a terra immobile.

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