mercoledì 5 febbraio 2014

breve resoconto di incontri amichevoli a Venezia: "Esar e scrivar xè beo" di Emanuele Petener


Il rapporto con "Priamo", nato poco tempo fa, vale la pena di raccontarlo in breve.
Nasce dalla rete: ci si incrocia con Emanuele, ci si vede, ci si piace - e lui lo racconta bene nel post -, si sviluppa un'amicizia nata attraverso la comune passione per i libri, e per quello che rappresentano nella comprensione dell'esistenza. Ognuno di noi ha i propri maestri, diversi per ciascuno, e la propria esperienza professionale, anche questa differente. Dopo Emanuele, anche Marco Crestani, il capo - anche se lui probabilmente rifiuterebbe questo appellativo -; con entrambi funziona, in termini di idee, progetti, possibilità di incroci e scambi che hanno come fulcro la "gratuità collaborativa"; non solo e non tanto in termini letterali, ma nel concepire questa, come modalità possibile e alternativa allo status quo del mondo editoriale. 
Credo che questa "sinergia amichevole", produrrà bei prodotti.
Ma al di là di quello che ne uscirà, è il piacere del processo creativo a suscitare entusiasmo.
Il richio della retorica melensa, in questo ambito, è sempre presente. Eppure fortunatamente è così.
Detto questo, copio-incollo questo "pezzo" di Emanuele Petener. 


Martedì, 04 Febbraio 2014 19:23
’Esar e scrivar xè beo
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“’Esar e scrivar xè beo,” mi scrive Cristiano Prakash Dorigo, di risposta alle mie congratulazioni per l’uscita di Un sinuoso contenitore smussato (Priamo/Meligrana, 2014).
“Leggere e scrivere è bello.” È una frase che mi dà allegria: fare una cosa perché la si trova bella. E che altra ragione ci dovrebbe essere?
Si noti inoltre: prima della scrittura viene la lettura, la congiunzione le mette sullo stesso piano, ma c’è poco da fare. Prima viene la lettura, ha un vantaggio di bellezza, si può dire. Che beo.

Comunque, capita un anno fa che nei miei pigri vagabondaggi per la rete incontri un racconto di Cristiano Prakash Dorigo che mi piace molto, e mi piace molto anche quel nome risonante di cristianità, di India e di Venezia: insomma – malgrado si sia entrambi personcine riservate e financo timide – ci si scrive e si decide di trovarci, la scorsa estate, a Venessia naturalmente.

L’appuntamento è a Campo Santa Margherita nell’ora più dolce di un caldo pomeriggio di maggio, e Venezia è più sensuale che mai: i riflessi rosati sulle case, l’ebbrezza studentesca, le ragazze che sorridono, i libri stretti al seno, e i gatti che se ne infischiano. Noi ci sediamo al bar rosso, detto così perché è tutto dipinto di rosso, e si comincia a ciacolare, e lo so che la frase è abusata, ma è vero: mi sembra di conoscerlo da una vita! Sapete quando ci si sente  a proprio agio  e non c’è la necessità d’indossare una maschera? Che forse è una maschera anche quella, chi lo sa.

Con Cristiano, quella volta e poi per tutta l’estate, si parla spesso di maschere. Di vanità, di poesia, di Bolaño, delle sfumature di certi avverbi, e ancora di maschere. Del resto Cristiano xè Venessian, purissimo, sestiere di Dorsoduro, corte Mazor. Ora a Venezia non ci vive più – “purtroppo,” mi dice – ma ci lavora, e la vive attraverso la sua professione di operatore sociale, quotidianamente, profondamente, la sonda, la assorbe, vi trasfonde tutta la sua energia, le calli, i campi, i masegni son tutti suoi: poi scatta una foto e me la manda in Florida. El xè oro.

Orbene, si ciacola, si beve uno spriss, poi un altro, mi fa una testa così con Bolaño. Del resto Cristiano ha, per i libri, una passione non affettata, una passione in cui non manca mai un elemento fanciullesco di stupore, soprattutto quando scopre un artista nuovo, come Bolaño appunto, che alla fine m’ha costretto a leggere. Senonché  ci scambiamo pure le cose che abbiam scritto noi (Cristiano ha debuttato con un racconto inserito in un volume curato da Giuseppe Caliceti e Giulio Mozzi, È da tanto che volevo dirti, Einaudi, 2002) e grazie a Dio abbiamo entrambi superato quella fase primordiale che prevede i complimenti reciproci e lui mi dice chiaro chiaro quel che gli è  piaciuto delle mie cose e quello che non gli è piaciuto, e mi fa domande, s’incuriosisce, si stupisce, e poi torna a parlar di Bolaño, ovviamente.

Io la sua raccolta di racconti Homo Sapiens Nord Est (Mare di Carta, 2011, appena riproposta in e-book dallo stesso editore) me la porto in treno per Roma, e inizialmente sono scettico, la materia mi è lontana per gusto (roba dura, da stomaci forti) e in effetti il primo racconto non mi convince del tutto. Poi però è un crescendo, un’immersione, e fondamentalmente mi entusiasmo per un motivo: Cristiano possiede un modo di scrivere che è  tutto suo, originale, come chi ha l’esclusivo interesse di raccontare una storia e raccontarla nel modo più efficace possibile, lasciando risplendere ogni piccolo angolo del quadro, dal dolore dei protagonisti al portaombrelli sullo sfondo; vi è una forza viscerale nella sua scrittura (fatta di scatti, rimbalzi, ritorni), e trovo alcuni racconti davvero bellissimi (tutti quelli della seconda metà, essendo il libro architettato in due parti) e uno intitolato “Tatto” che – scusate, ma è così che sento –  è formidabile, dove i sentimenti di un uomo lasciato da una donna vengono esplorati come non avevo mai letto prima. Perché Cristiano (e certo il suo lavoro gli ha dato esperienza) è un esploratore d’umanità – affascinato, partecipe, mai giudicante, mai onnisciente –  e non è mai kitsch, non è mai falso. 

Insomma, per farla breve, come ogni volta che trovo qualcosa che mi sembra bello, chiamo subito l’editore di Priamo, Marco Crestani – di solito scrivo una scheda, ma stavolta sono in treno, e poi si tratta di un libro già pubblicato – e chiedo a Cristiano di mandargli una copia di Homo Sapiens Nord Est, e Marco se lo legge da cima a fondo, e anche a lui il libro piace moltissimo, contatta Cristiano, gli chiede se ha dei racconti nuovi, s’incontrano anche loro a Venessia, al bar rosso (io nel frattempo me ne son già tornato in Florida) e si bevono uno spriss e parlano di maschere, di vanità, di poesia, dei libri che hanno letto, dei libri che vogliono fare, e poi Cristiano gli parla di Bolaño.

(di Emanuele Pettener)

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