giovedì 27 giugno 2013

biennale e refusi


Spettabile Dottor Baratta,
in questi giorni ho visitato in ordine sparso alcuni padiglioni della Biennale. Confesso di essere rimasto piuttosto deluso da molti di questi; alcuni mi sono piaciuti, ma pochi. La biennale rimane comunque un evento da non perdere, di cui usufruire, con cui confrontarsi.
C’è un particolare che mi ha colpito più di altri, che le volevo segnalare, che è strettamente collegato alla considerazione che il nostro paese riserva alla cultura, a come la decadenza abbia ormai pervaso ogni aspetto, dal minimale al grossolano, rischiando di dilapidare per pigrizia, ignoranza, trascuratezza, la propria ricchezza: mi riferisco ai cartelloni che descrivono le opere.
Quello che scrivo è paradossale e sintomatico: non le discariche accanto alle aree protette, non lo sgretolamento di Pompei; no: proprio le scritte, la grammatica, la traduzione, la non cura, la disattenzione.
Mi sono accorto in più occasioni - e temo me ne siano sfuggite altrettante - che la traduzione di certe frasi sembrava fatta coi traduttori automatici che si trovano in rete; e refusi, errori grossolani, in quei manifesti di carta pregiata, sporcati così, quasi casualmente.
Mi chiedo perché, se non sia possibile averne maggior cura, se non basterebbe uno sforzo neanche tanto faticoso, per essere all’altezza del progetto “Biennale”?
E se le si lascia così impudicamente alla mercé di tutti, considerandole un’inezia, un’insignificanza, la mania di qualche rompiscatole pignolo, allora l’arte, che vorrebbe rappresentare, spiegare, proporre, sarebbe un’arte analfabeta e anaffettiva.
Concludo con l’auspicio che in futuro ci sarà maggior attenzione anche per i particolari, benché non consideri certo le “parole” irrilevanti, anzi.
Credo che si corra seriamente il rischio di perderne l’importanza, di dimenticarsene, e spero che non si arrivi mai a rimpiangerle.
Ed è per questo che gliene ho scritte alcune: per mantenerle in vita, per non rassegnarmi pigramente alla loro, in questo caso, irrilevanza artistica.
Sono infatti convinto che le parole, la loro forma, l’esattezza con cui le si scrive e le si pronuncia, sia il significante, l’inconscio collettivo, della società in cui tutti viviamo.
 

Nessun commento:

Posta un commento