giovedì 9 maggio 2013

porti e morti: Genova e Venezia

Vedendo quello che è successo a Genova- una nave che va a sbattere contro la torre di controllo del porto, la frantuma, ammazza diverse persone-, non si può non abbracciare idealmente, con forza e affetto, quei lavoratori che non vivono più.
Al contempo vien spontaneo rivolgere un pensiero a quanto sta accadendo a Venezia.
Da alcuni anni il traffico di grandi navi in città è cresciuto a dismisura; una crescita incontrollata, elefantiaca, paradossale: nel bacino di san Marco, lungo il canale della Giudecca, passano navi alte come palazzi di dieci-quindici piani; ben più alte delle case e dei monumenti, che sembrano assistere in silenzio a questo rito megalomane. Personalmente mi ricorda le immagini di un bisturi che taglia la carne, che crea un solco i cui lembi si slabbrano e divergono.
Da anni molti cittadini si battono perché questa barbarie finisca. Le migliaia di passeggeri che si stendono per tutta la lunghezza dei mastodonti salutano con le manine che fanno ciao, scattano foto; altri, lungo le rive, guardano sbigottiti l’assurdità dei loro gesti ignari. C’è una contrapposizione evidente, un’incomprensione reciproca di fondo: gli uni si chiedono come gli altri non condividano i loro sentimenti.
I passeggeri non sanno, ignorano, vengono da ogni parte del mondo con voli low cost per realizzare il loro sogno kitch; gli abitanti ne hanno le scatole piene; i comitati sfornano dati allucinanti sull’inquinamento, ecc.
E c’è chi, nel frattempo, come da prammatica italica, incassa. E questo è un dato centrale: il porto turistico di Venezia è un’azienda florida, produce un sacco di soldi, dà lavoro: gli sembra possibile, ai capelloni che protestano, rinunciare a tanto? Cifre alla mano, oltre agli argomenti da figli dei fiori, cosa dicono? Il porto, il cui presidente è nientepopodimenoche Costa ( ex sindaco, parlamentare europeo, magnifico rettore di Cà Foscari, un manager di prim’ordine della sinistra cittadina), ha argomenti solidi, concreti, incontestabili in tempi di crisi.
La solita retorica: salute o lavoro? lavoro o salute? Eh, come la mettiamo con tutti quelli che lavorano, che hanno un mutuo da pagare, che insomma se la cavano grazie al porto, all’unicità di Venezia? Stiamo parlando del primo porto turistico del Mediterraneo, uno dei primi d’Europa, mica balle.
Insomma, l’Italia non la smetterà mai di farsi fottere da questa logica mortifera, non l’ha mai superata, mai totalmente masticata, digerita, ragionata.
In tutti gli altri Paesi paragonabili all’Italia, si stanno portando avanti da anni programmi e soluzioni che tengono conto di entrambe le esigenze. Da anni si parla di fare un porto al largo delle bocche di porto, in cui le navi potrebbero parcheggiare; da lì potrebbero partire le imbarcazioni che porterebbero i passeggeri in città, e tutto sarebbe risolto in modo intelligente, ecologico, compatibile con le istanze di tutti.
Ma quel che è logico, in questo Paese la cui classe dirigente è formata da geni microcefali, che  abbiamo votato, e che quindi evidentemente ci somigliano, è scartato in quanto tale.
Sarebbe ora di uscire dalla contrapposizione lavoro-salute, e ricordarci che, volendolo,  pianificandolo, non sono incompatibili.
Sarebbe.
Ma non è.

Nessun commento:

Posta un commento