Sono
nudo o quasi; forse solo in mutande e corro.
Salgo
le scale spaventato, sono carico d’adrenalina che pompa i muscoli
rendendoli molle poderose.
C’è
una porta socchiusa in cui entro trafelato, sudato, spossato. Dentro
poca luce.
Mi
fermo per rifiatare, mani appoggiate alle ginocchia.
Il
fiato copre ogni rumore. Il respiro è breve e avido, in sincrono con
il battito del cuore.
Poco
dopo sento i passi salire veloci le scale. Sento porte sbattere,
suole scivolare, gesti esperti carichi di determinazione.
Sono
al piano di sotto, stanno raggiungendo questo.
Arriveranno,
lo so, lo sento.
Mi
aggiro per la casa disabitata, piano osservando tutto, sapendo che
dovrò cogliere da un particolare apparentemente insignificante il
segnale che mi consentirà di continuare la mia fuga.
Uno
sgabuzzino con una finestrella.
Entro,
controllo la grandezza della stessa: sì, ci passo, penso.
Pur
essendo al quinto piano di un caseggiato del tutto simile a quelli
parigini, so che quella è la mia sola possibilità di salvezza.
La
finestrella è sorretta da due catenelle arrugginite attaccate a due
gancetti messi all’estremità della stessa.
Sento
dei rumori alla porta d’ingresso. Devo agire con lucidità senza
farmi tradire dal terrore.
C‘è
quest’ansia che mi alita addosso da dentro, che m’impedisce di
far ordine, d’immettere la logica nel mio pensare, che diventa
tachicardico, generato da reazione e non da volontà.
Tolgo
prima la catenina di destra, poi quella di sinistra, tenendo con
l’avambraccio la finestrella evitando di farla sbattere al muro.
La
porta intanto resiste, ma sta per cedere.
Mi
aiuto con le braccia per passare attraverso la finestrella: ci sto,
sembra tagliata su misura per me. Non so cosa c’è oltre, ma mi
fido. Senza guardare altro mi volto e rimetto tutto a posto: i ganci
rientrano al loro posto tra le catenelle.
Non
so come, ma scendo verso la strada.
Non
so come ma ora sono in mutande che corro in una strada non più di
Parigi, ma di Mestre centro.
Non
so come, ma so che loro sono lì al quinto piano del condominio
parisienne che mi vedono scappare.
Non
so come e perché scappo; non so da chi.
Il
giorno dopo, sono vestito.
Il
giorno dopo sono nudo, scoperto, in carne viva per l’ansia.
Il
giorno dopo sono pronto a riprendere la fuga perché so che da
qualche parte, all’improvviso, sbucheranno dal nulla e
m’inseguiranno.
La
sveglia mi sveglia.
Ho
il respiro affannato, come chi abbia corso tutta notte.
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