Mi
capita a volte di entrare in contatto con una dimensione interiore che senza
ombra di dubbio è la verità. Lo è senza bisogno di provarlo, di dimostrarlo: è
così e basta.
Mi
è successo anni fa in campeggio: è successo altre volte prima, molte dopo, ma
ne ho scritto solo in questa occasione.
Perché
ne scrivo, essendo con tutta evidenza un’esperienza intima? Lo faccio perché
credo che quello che ci succede non sempre è chiaro, e quando veniamo in
contatto con dimensioni che ribaltano la prospettiva, che sono inusuali; e
inoltre, perché chi ha l’occasione di esperirne, non può che condividere.
Talvolta si è traboccanti di grazia e amore, e quando è così, non si può far
altro che donare.
Altra
ragione, è che non è quasi mai così: si è spesso lontani da quello che si
sente, e anche quando ci si ascolta, spesso si colgono frustrazioni, rabbia, e
altri sentimenti fortemente connaturati alla negatività.
In
sostanza, scrivo queste poche righe per raccontare un momento di grazia,
apparentemente lieve, inconsistente, eppure di una forza esplosiva.
...
Era
estate, in campeggio.
Era
una sera normale, senza premesse particolari che potessero far intuire
qualcosa.
Siamo
andati in uno dei bar interni per vedere un film su schermo gigante.
C’è
stato un attimo in cui il brusio multilingue – se ne parlavano almeno sette là
dentro – è diventato non più confusione ma condivisione, e ho sentito di amare profondamente
tutti, nessuno escluso.
Vorrei
specificare meglio un fenomeno inspiegabile: per poco, un minuto non di più, e
forse anche meno, ho amato in modo indistinto ogni essere umano che
casualmente mi circondasse.
Mi
ha colpito la semplicità e la complessità fuse assieme.
E
la paura della responsabilità di un simile sentimento, che mi appariva
insopportabile per più di qualche istante.
Subito
dopo, infatti, ho sentiti risalire in assetto di guerra i meccanismi di difesa
che di solito mi sostengono, manifestatisi, appunto, con un sentimento di
incapacità; precisamente, sentivo che non sarei stato capace di sostenere a
lungo quel che provavo.
Sebbene
lo provassi, lo potessi quasi toccare, ne vedessi la semplicità; al tempo
stesso mi appariva troppo grande e pesante da sostenere.
Accidenti:
un’esperienza mistica, un assaggio di universalità sconfinata dei sentimenti, e
io me la faccio sotto; ne ho paura.
Ma,
pensavo poi, verso tardi, cosa ho imparato, cos’ho intravisto?
A
cos’è servito un insight di tale potenza?
È
servito, mi dicevo in un momento di solitudine feconda, a farmi vedere quanto
sto in difesa e nascosto, di solito.
Sono
morto, sentimentalmente frigido, quando non sono così!
Credo
di amare, e invece sono infarcito di proiezioni su come si dovrebbe fare, ad
amare.
Che
qualità d’amore ho sentito, allora?
Lo
definirei, un amore senza condizioni, costrizioni, ragioni.
Poi,
durante la stessa serata, sentivo passare la moltitudine di persone di ogni
provenienza ed età, li sentivo ridere, discutere, parlottare, e sentivo, invece
del solito fastidio un po’ snob, felicità: ero felice di quella felicità;
leggera, circostanziata, circoscritta, condizionata, ma concreta.
Cristiano
Prakash Dorigo
Nessun commento:
Posta un commento