giovedì 27 dicembre 2012

scrivere e leggere me


L'altro giorno per sbaglio sono capitato in un sito che non conoscevo,  che a mia insaputa  verifica il flusso delle visite del mio blog.
Non sono un esperto di rete, e tanto meno conosco la tecnologia, i retroscena, i meccanismi di questa fantastica opportunità moderna, che si moltiplica continuamente, con ritmo incessante. So che qualunque cosa faccia, lascio tracce: l'elettronica è una grande comodità, ma non va d'accordo con la riservatezza.
Ho scoperto che il mio blog è classificato come il 1600000esimo circa. Ho pensato che più di un milione e mezzo di blog sono più visitati del mio, e non mi sorprende, né mi suscita alcun sentimento.
L'avevo ripreso, dopo anni che non ne avevo più uno, per diffondere il verbo del mio libro, e delle attività che svolgo con Franco e Umberto, sui vari palchi che ospitano le nostre performances. 

L'altra sera parlavo con G Montanaro, finalista al Campiello, con il quale concordavamo  su una cosa: si scrive per farsi leggere, punto. Lui mi accennava a quanto sia bello  scrivere per un grande editore ( Feltrinelli, nel suo caso), di come ci si senta seguiti, coccolati e fortunati. Gli credo, e credo che, giovane com'è, riuscirà a essere tra quelli che campano di scrittura ( in forma diretta e non). Non so se chi ci riesce, lo meriti anche; non saprei nemmeno dire se lui lo merita: quello che so, però, è che piacerebbe anche a me, pur sapendo che non accadrà.
Pensavo inoltre alle statistiche scoraggianti sui lettori italiani: più di metà leggono meno di un libro all'anno ( un dato sconvolgente che spiega, almeno in parte, le ragioni del nostro vivere civile). Con queste statistiche, quello che io scrivo non ha quasi alcuna possibilità di essere letto; e scrivo questo, senza pensare al mio valore, alla qualità delle mie parole, ma sapendo di scrivere su un piano di realtà: pochi leggono, figurati se quelli che lo fanno, scelgono me ( non mi sto riferendo a me in particolare, ma a quelli come me, del mio stesso grado di famosità).
La cosa che pare incredibile, è che continuo a farlo nonostante.
Continuo, pur sapendo di compiere un'azione quasi inutile, solitaria, ininfluente.

Ieri sera mia figlia mi diceva che il vincitore di master chief della seria scorsa, aveva scritto in libro" di ricette, non di filosofia", mi ha apostrofato mentre facevo " una delle mie solite facce".
Mi piacerebbe poter affermare che scrivo per me, ma non è vero; o almeno, lo è parzialmente. Scrivo per me nella misura in cui scrivere mi libera di zavorra, mi alleggerisce. Ma lo faccio  anche perché penso di avere qualcosa da comunicare, perché sono un artista, perché ho accettato questa condizione del mio stare al mondo, perché credo che sia la cosa più utile che posso dare, perché a me piace di più dare che ricevere, perché credo che sia giusto scoprire e convivere col proprio talento, tanto o poco che sia.
Concludo dicendo che leggere è una delle migliori scelte che una persona possa concedere a se stessa, e che se si fa parte della metà che legge di più di un libro all'anno, che magari non sia di ricette, questa sarà una persona che interagisce e comunica e traduce meglio il mondo, di quell'altra metà.
E sono convinto di questo, pur consapevole che non leggerà me.

2 commenti:

  1. wow, sai quando hai tutto in mente ma non riesci a dirlo? Sono cose che rimugino spesso e adesso le trovo qui, nero su bianco. Bella scoperta davvero!

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  2. bene Alessandro, mi fa piacere sapere che leggere e scrivere, benché sia un'esperienza fatalmente solitaria, faccia incontrare. quando mi capita, capisco che vale comunque la pena.

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