giovedì 27 dicembre 2012

Intervista a radio cà foscari 4


D4: ho notato che nel libro si usano diversi stili; ad esempio la scrittura drammatica, o quella diaristica: quanto è complicato passare da un genere all'altro? oppure, come dicevi, sono scritti raccolti nel corso degli anni, e quindi in periodi diversi: ma come è possibile, e se secondo te è fattibile, dare una stessa voce a una scrittura così variegata?

R4: inizio dall'elemento più semplice, visto che la domanda è così complicata e stratificata. Innanzitutto direi che, trattandosi di una selezione di racconti scritti in una decina d'anni, se non ci fosse un cambiamento, sarebbe quasi tragico. La scrittura è un esercizio: ci si allena a farlo, per diversi motivi che magari analizzeremo, e più lo si fa, più diventa semplice, in termini di meccanica penso/scrivo,anche se a volte ho l'impressione che la scrittura sia un accadimento che non dipende da me, ma che vive a prescindere dalla mia disponibilità. Ma vorrei specificare meglio; l'intervista alla radio mi ha dimostrato l'asincronia tra pensiero-sapere-verbalizzazione: quello che sto scrivendo adesso, è grossomodo quello che avrei potuto e voluto dire, se mi fossi connesso a quel che stavo facendo. Ma così non è stato, e allo stesso modo in cui non è stato, lo stesso capita, al contrario, quando scrivo: escono parole, frasi, pensieri, che se non scrivessi, non avrebbero quella forma, quella sostanza, contenuto, senso: insomma, sarebbero diversi.
La questione riguarda certo il sistema neurologico: io funziono così, punto. E credo che per me non sia molto importante capire, scoprire perché: non in questo ambito, almeno.
Pemesso questo, spero di rispondere in modo meno complicato al resto della domanda.
Un racconto, o un pezzo di diario, nascono e si formano in un modo che non so descrivere in termini di casualità, come dicevo, ma tento di spiegare quello che ricordo di alcuni di essi. Il vecchio: la prima stesura nasce dall'idea di compilare dati statistici; la festa di amici dalla constatazione di quanto siamo la prima generazione che sta invecchiando pur rimanendo più giovane di almeno una decade, e che fatica a sincronizzarsi col passare del tempo; ricordi e s-comparse è uno dei più viscerali e imprevedibili: sapevo come iniziare, ma poi ha preso piede da sé, ed è tanto complesso nel suo avanzare, quanto semplice nel senso: affronta il tema dei sintomi della vita moderna, degli effetti della frustrazione; e poi altri, che affrontano la malattia, l'incapacità di fare i conti con sé, il disturbo alimentare, il mondo della droga; supermarket nordest racconta la distanza tra quello che si è e quello che si fa; e poi il capitolo sensi, la cui genesi è un'idea scaturita dal gruppo- che mi accompagna nelle letture, e lo fa però in modo inaspettato, autoriale: raccontare attraverso gli organi di senso. Si inizia col fantasma di Bortolozzo- vittima del petrolchimico e artefice della famosa associazione-, che torna a Mestre il giorno della prima sentenza del processo; olfatto, diviso in tre parti, che racconta pezzi di cronaca autobiografica legati a vecchiaia, nascita, morte; tatto, la fine tattile di un amore; udito, l'incontro con una verità filtrata attraverso il racconto di un racconto; vista, la storia di un partigiano poeta, testimone sul monte Pizzoc delle atrocità della guerra, che si salva scrivendo una lettera d'amore.
Per concludere: la scrittura è così variegata perché quasi ogni racconto ha un inizio che ricordo, e un processo che mi ha coinvolto ed espulso insieme; li ha scritti l'autore che mi abita, e che non sempre mi fa partecipe.
Penso che la creatività sia un processo altro, uno spazio che ci ospita solo a determinate condizioni indeterminabili- questo vale per me-, e che quando scompare, quando l'idea, lo spunto, spariscono, subentri il mestiere. Penso che i capolavori prevedano questi due elementi, e che, fortunatamente, siano una caratteristica che pochi hanno. Ovviamente non faccio parte di questi pochi.



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