domenica 20 gennaio 2013

terzo reich di Bolano




E anche questo l'ho letto.
La mia situazione personale non mi consente di dedicare molto tempo alla lettura - sto traslocando, preparando le letture dei miei testi a teatro-, ma non ne posso, né voglio, fare a meno. Ho spesso dedicato attenzione a singoli autori, a seconda dei periodi della mia vita, passando periodi di letture monografiche: Bolano è la mia ultima fissa.
Quando finisco un suo libro ho la sensazione di essere stato in posti frequentati dall'umanità più improbabile, di averla accettata e di essermi fatto accompagnare all'interno di storie al limite del cataclisma, senza colpoferire; di aver compreso che l'imperfezione riguarda e investe tutti, e non per questo, e anzi forse proprio per questo, tutti siamo biografie viventi, siamo storie degne di essere raccontate, siamo importanti e al tempo stesso insignificanti.
Non so perché amo questo autore. Non saprei descrivere i suoi romanzi, che hanno finali senza fine, trame talvolta incompiute, digressioni infinite, apparente casualità.
In questo romanzo- ormai Adelphi pubblica qualsiasi suo scritto-, si racconta la storia di un ragazzo tedesco che va con la fidanzata in vacanza in Spagna, nel posto dive andava coi genitori, fino a dieci anni prima. Ha la passione per un gioco di guerra che si chiama “terzo reich”, che descrive con dovizia di particolari, a cui dedica grande concentrazione mentale. Scrive un diario delle vacanze in prima persona, fa una descrizione delle persone che incontra, narra dettagliatamente i fatti, e intanto il libro va, pagina dopo pagina, apaprentemente senza fatti eclatanti ( se non un incidente?). 
Se penso a tutti i libri moderni con trame simili a sceneggiature, agli sconvolgimenti a sorpresa, ai ribaltamenti, all’impossibilità di questi di uscire dal dualismo bena-male, comprendo la sua universalità fuori dal tempo.
E anche in questo romanzo, scritto all’inizio della carriera, come in molti altri suoi, serpeggia soterraneo il male, descrive un mondo abitato da persone di ogni genere, mostrandocele così come sono, senza sovrastrutture, abitate parimenti da vizi e talenti.
Sarà che il vissuto latinoamericano è onnipresente, il campionario di mostri, di incubi, di ansia e accettazione, sono una costante dei suoi scritti.
Questo non è certo il suo capolavoro, ma è l’ennesima dimostrazione che certo autori, e probabilmente certa letteratura, più che capita, va masticata, digerita, lasciata sedimentare, affinchè ci nutra.
E non m’importa di sapere perché amo questo autore: forse per la condanna a frequentare se stessi, oppure per l’ossessione per l’essere umano, magari per il piacere irrinunciabile della lettura: chissà.

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