Passato il caldo infame, riprendo la bici.
Tra le varie possibilità: itinerari lungo il fiume, quando ho ripreso fiato e allenato i muscoli; in alternativa, le stradine che costeggiano i campi, per quando riprendo lentamente a correre.
Oggi ho optato per questa seconda scelta.
Sono salito lungo l'argine e via. Ho corso un po', e poi sono sceso. Cercavo di dare ritmo al respiro, accorciatosi in quest'estate torrida. Ho fatto strade interne per alcuni chilometri, sfondando grumi di insetti da uva, andando controvento, che è come andare in salita. Attorno il bellissimo paesaggio della campagna veneta. In particolare, campi di pannocchie, di soia, vigneti.
I primi due, arsi dal sole, paiono moribondi. Sembra che non si riuscirà a recuperare il raccolto: non ha piovuto per mesi, e i rovesci di questi giorni, non riusciranno a recuperare ciò che è già andato perso. Mi impressionava molto sentire il rumore del vento sul granturco: era un rumore secco, quasi croccante; le punte erano tutte nere, evidentemente bruciate dal sole.
Dopo mezz'ora, gambe e fiato erano finiti. Ho perciò deciso di tagliare per un quartiere nuovo che mi consentiva di tornare a casa in dieci minuti, per non forzare troppo.
Sono passato in mezzo al nuovo quartiere residenziale, una distesa di case che si vanno ad aggiungere agli altri quartieri nuovi, con cui formano ormai una suburbia a nord est, di stile americano.
Mi fa impressione vedere queste case, quasi tutte villette, biville, ville a schiera, condomini di dimensioni contenute. Qualche anno fa, quando ancora la crisi si nascondeva dentro alla bolla speculativa, e tutto sembrava possibile e infinito, a nord est si è costruito a raffica. Molti terreni sono diventati edificabili grazie ai nuovi equilibri politici: concessioni in cambio di voti, vecchia storia lunga decenni di orrori politici.
Ma al di là di questo, quello che mi colpisce, è l'ambizione estetica, l'idea di identificazione sociale attraverso l'esibizione della propria casetta, del giardinetto, della proprietà. E non importa se si vive con l'antifurto acceso 24 su 24, se si vive col terrore che qualcuno ci porti via quel che è nostro, una volta finito di pagare il mutuo ventennale alla banca.
Con la città metropolitana, enorme per dimensione, ridicola per numero di abitanti, il modello "si lavora in centro, si abita fuori città", diventerà ancor più consuetudine, apparendo normalità.
Centro storico è lavoro, la terraferma per gli immigrati, la suburbia per la nuova piccola borghesia indebitata.
Se si gira di sera per questi quartieri, non si vede nessuno. L'unica testimonianza di vita, il bagliore delle tivù e il pulsare degli antifurti.
Mi chiedo mentre pedalo senza più energia, perché sia qui, e cosa mi differenzia dal popolo suburbano.
Nessuna differenza, mi dico. Forse solo la superbia di chi giudica. Forse la voglia di vendere- ci sto provando da due anni, ma niente- e tornare in città, dove la vita puzza un po' di più, ma somiglia ad un'esistenza concreta.
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