giovedì 20 settembre 2012

Crisi immobiliare ed esistenziale


In questi giorni, a causa di un - speriamo- imminente ritorno a Mestre, ho girato parecchio in città. Da più di sei anni abito in provincia, e non ne posso più di fare il pendolare; non ne posso più nemmeno di abitare in un quartierino di una cittadina pulitina, perbenino, dove tutti hanno la macchinina bellina, i rapporti sono mutuati dall'apparenza; e soprattutto, dove tutto ciò, caricaturale fino al parossismo, è vissuto come normale, anzichenò. In sostanza, i rapporti sociali sono normati da una tacita leggerezza inventata.

Dopo sei anni, mi ritrovo a battere la città dal basso, con l'osservazione lenta e vorace di chi ha bisogno di capire cosa sia diventata, quali zone siano integre e quali degradate, cosa nascondano le case, i condomini: chi ci sia dietro le finestre, chi abita il cuore domestico e intimo di una città che non è più mia.
La crisi,- di cui bisognerebbe parlare a parte, con serietà, con dati statistici, penetrando i fenomeni per cercare di capire quanto hanno inciso nelle nostre esistenze ed abitudini consumistiche-, ha comunque  modificato in modo netto il mercato immobiliare, con effetti visibili sui rapporti sociali.
La sensazione da osservatore, certo non da immobiliarista, è quella di trovarsi dinnanzi a un brusco e tardivo risveglio, come se la bolla speculativa che ci ha afflitti e condizionati, scoppiando, ci abbia resi incapaci di reagire emotivamente, come colpendo a tradimento. Piccoli lutti, micro traumi, sbigottimento, segnano umori e pensieri.
Il bene rifugio per eccellenza, in Italia, è diventato insicuro, incerto.

Io stesso, e anzi, forse la pretesa di essere osservatore nasconde in fondo il ruolo di vittima, che detesto, ma che in questo caso incarno, pur non sapendo fino a che punto, sono spiazzato, sgomento, incredulo.
Sei anni fa ho comprato casa, nuova e bella con vetro camera e cappotto esterno e travi a vista e doppi servizi e comodo garage indebitandomi con le merda-banche con un mutuo accidenti a me, e ora per rivendere ci devo rimettere, porca!

Ma non solo la crisi: si tratta di qualcosa di più profondo, di vitale, di sociale. Mi pare di cogliere sempre più la fatica, il bisogno di rifugiarsi dalla vita, dai rapporti, dalle dinamiche relazionali che , invece di risorsa, sono diventate un peso, un dramma emotivo.
Mestre, città di provincia, periferia di Venezia che scintilla di giorno e muore di notte, spalla un pò borghese della proletaria marghera, da città vivace, pare trasformata in purgatorio, in duplice  guardiana, o forse portinaia: da una parte Venezia, dall'altra il nord est.

Chissà se la crisi, con le ferite aperte che lascerà, ci farà tornare ad essere umani, sociali, vivi, con meno paura, perché avremo tutti un po' meno da perdere, e tutto da ricostruire.

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