Sabato sera al festival "home" di Treviso.
Ho visto tre concerti, e mentre arrivavo a piedi dal parcheggio, distante un paio di chilometri dal posto, ho sentito il finale di Eva - ex Prozac+-. I tre concerti: teatro degli orrori, the bastard sons of Dioniso, afterhours.
Un elemento che mi pare significativo, anche rispetto a quello che scriverò dopo, è che Manuel e Pierpaolo hanno superato i quaranta - siamo più o meno coetanei -; sono entrambi artisti dall'alto tasso di energia spesa ad ogni esibizione, come se l'età e la possibilità di produrre potenza, fossero elementi a sé stanti.
Il teatro degli orrori è un gruppo che non seguo. È uscito troppo tardi rispetto alla mia capacità di essere elastico e capace di assorbire le novità musicali. Sono aggrappato alle mie certezze, disponibile ad aprire porte e finestre, e far accomodare gli sconosciuti, abbastanza limitata. Non leggo riviste, come facevo un tempo; non sono più ricettivo, come un tempo; ci vuole un bel po' prima di lasciarmi a bocca aperta dallo stupore.
L'ultimo a riuscire nell'impresa, qualche anno fa, è stato Antony: dopo di lui, ma anche prima, solo conferme, o al massimo qualche smorfia passeggera.
Per molti anni la musica, in particolare rock, è stata la mia grande bruciante passione.
Da molti a questa parte, la musica accompagna la lettura e la scrittura, che l'hanno definitivamente rimpiazzata in termini di attenzione e interesse.
Va da sé che il mio intento di unirle attraverso i reading, non sono altro che un'operazione aritmetica; per la precisione, un'addizione.
Insomma, Capovilla è senz'altro un uomo da palcoscenico. Senza dubbio ha il gusto della mescolanza di generi, e i suoi concerti sono molto teatrali. La sua proposta è pesante, difficile, ambiziosa: gli interessa il contenuto, e vedere migliaia di ragazzi che lo ascoltano, lo ballano, lo cantano, è sorprendente.
Eppure non mi convince appieno: non riesco a sintonizzarmi pienamente in alcun ambito. Non totalmente nel fottutissimo rock'n'roll, non sul piano dei contenuti. Ma capisco che dipende da me, non certo da loro.
Ed eccoci al punto, alla ragione per cui sono andato a Treviso: gli afterhours.
In borsa ho una copia del libro: mi sono fatto l'idea che "padania" e " homo sapiens nord est" siano una sorta di segno del destino. Missione: consegna del libro a Manuel Agnelli.
Nel frattempo, mi godo il concerto.
È un concerto durissimo, tirato; un brano dietro l'altro, un delirio di suoni e di urla. La cosa che mi passa per la testa, è: ma che diavolo vuol dire Agnelli?
Alterna pezzi e nuovi e vecchi - questi in versione "hard core"-. Il pubblico è spiazzato, e canta soprattutto i vecchi brani.
Dove vuole infilarsi? Nel cuore, nella carne, nell'inconscio? Cosa ci sta dicendo? Che siamo tutti disperati, che dobbiamo liberarci del peso delle nostre esistenze, urlandole fuori? Perché rifiuta scientemente ogni possibilità estetica?
Penso che una simile esibizione andrebbe bene in un club, con un pubblico ridotto, consapevole; che se vuole proporre arte moderna in forma di canzone, farlo all'aperto, con migliaia di persone abituate a cantare il vecchio repertorio, non è il migliore dei modi.
Ma questo è quello che penso io, che non sono abituato a pensare lo show in forma di business.
A fine concerto mi sono avvicinato al ragazzo del mixer e gli ho dato il libro.
Ci ho scritto dentro " mi pare ci siano analogie", e ho aggiunto la mail.
Chissà se gli verrà dato, chissà se lo leggerà, chissà se gli piacerà.
Chissà se riscontrerà le analogie di cui sopra.
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