Incerto tra cronaca fedele, o in formato sensoriale, opto per la via di mezzo, come i saggi. Poiché non lo sono, saggio, non so cosa ne verrà: vedremo.
Rispetto all'altra volta, una serata solo per noi, questa volta era un coacervo artistico; non privo di difetti, compensati però da una sensazione di appartenenza e condivisione d'intenti.
Il tema della serata era di tipo ecologista e, avendolo saputo solo all'ultimo, non avevamo preparato niente. Ho comunque rimediato, come dirò in seguito, ma.
Per chi non è pratico di Venezia, è un po' difficile immaginare una città formata da più città - il centro storico, la terraferma, la zona industriale, le isole -: in sostanza si tratta di un agglomerato urbano complesso, di acqua e di terra, vastissimo, ma con gli abitanti di una città media.
I punti più distanti tra loro, anche all'interno dei confini comunali, può comportare spostamenti anche superiori a quelli di metropoli ben più popolose.
Raggiungere il Lido, comporta interiorizzare un viaggio. Arrivare all'isola nei giorni del festival del cinema e girare, in fondo al gran viale, a sinistra invece che a destra, ha il retrogusto eroico di chi va consapevolmente controcorrente. Dopo qualche centinaio di metri, la prima sorpresa: non si accede più dalla vecchia entrata, ma da una nuova via che passa per la spiaggia.
Il titolo del ciclo è "i'm possible festival" ,
evocativo e funzionale, passibile di diverse interpretazioni.
Procediamo guidati dalle candele, camminando sulla sabbia, raggiungendo il teatro da dietro. L'impatto è suggestivo: il mare- il mio adorato mare-, rumoreggia al pochi metri, e profuma l'aria di salsedine. Lo spazio antistante, ex retro, è stavolta riempito in parte da un bancone con cucina mobile e da alcune panche, stile sagra paesana. Entriamo e salutiamo, piacevolmente sorpresi di trovare qualche decina di persone: il tempo non prometteva niente di buono, e si temeva, nei giorni scorsi, potesse essere un disincentivo.
Appena seduto, mentre il primo poeta mattatore dice la sua, mi sento battere la spalla: la prima sorpresa. Il mitico blogger, terrore delle folle letterarie, Lucio Angelini, versione abbronzata e senza baffo.
La serata prevede il seguente programma:
Incontro delle varie associazioni con finalità ecologiste;
Sfilata di otto poeti, tema degrado ambientale;
L'attore Cesare Colonnese;
Noi - super market nord est-;
Un mimo;
Musica a go go.
La sfilata dei poeti è rognosa da raccontare. Lo è in quanto la poesia, e i poeti, si espongono giocoforza a giudizi che non sempre corrispondono al loro reale valore. La poesia mi attrae e respinge insieme, e il mio metro di giudizio è poco razionale. Un caso su tutti, sperando renda giustizia: Zanzotto. Ho letto un paio di suoi libri, mi sono concentrato, cercando di capire fino in fondo i suoi versi, ma niente: mi sono inaccessibili. Eppure, mi hanno lasciato un segno, forse soprattutto il poeta, che non potrò dimenticare. Mi capita così anche con l'arte; spesso non riesco a coglierne fino in fondo il significato, ma mi scombina comunque.
Insomma sto girando intorno alla questione: ci sono bravi poeti e buone poesie, ma sono pochi. Molti ci provano, con risultati altalenanti, tendenti al brutto.
C'era però, in grande evidenza, un bisogno, una voglia di condividere, di stare insieme, di sentirsi meno soli- c'è gente al mondo più sola dei poeti?-.
C'era a tal punto, che il ritardo iniziale è stato incrementato, fino a stravolgere la scaletta. Uno dei poeti, in evidente stato di euforia da calore umano, non avrebbe voluto smettere più, ed è stato solo grazie a E, una delle organizzatrici dell'iniziativa - che si è presa ferie per star dietro all'evento, e che da quattro giorni dormiva a teatro, dandosi il cambio con V e altri ( va ricordato, a tal proposito, che si tratta di una struttura tendente al fatiscente: non dorme certo nei camerini della Fenice)-, che si è riusciti a fermare il suo entusiasmo, e a fargli capire che, nonostante questo, era già molto tardi e c'erano ancora altre iniziative dopo la loro.
È salito sul palco Colonnese, attore che si esprime in dialetto veneziano, per una mezz'oretta ci fa ridere un riso amaro, scoprendo le piccole miserie da cui scaturisce il degrado civile; questo non è mai eclatante, o almeno non all'origine: si manifesta poco alla volta, figlio degenere di atteggiamenti lascivi, di menefreghismo diffuso, ecc.
Poi tocca a noi.
Saliamo sul palco col tecnico che in dieci minuti ci sistema l'amplificazione.
Microfono, chitarra, computer, che passano per un mixer e corrono verso le casse, le quali riempiono la sala di noi.
Presento il nostro lavoro brevemente, che non c'è più tempo, consumato dalla poesia. Non essendo preparati sull'argomento della serata, dico che i due brani che leggeremo - ne avevamo preparati tre, ma -, rappresentano in qualche modo i sintomi dovuti ad una vita in cui l'ecologia mentale, è esclusa.
La mezz'ora vola. Chi ha provato a salire su un palco, davanti a persone attente,sa cosa intendo; chi no, è più o meno una cosa che ha a che fare con la sospensione temporale di tempo e spazio: qualcosa di simile, seppur diverso, a quando si fa l'amore, oppure si medita, o si corre o si balla o si legge o si scrive: insomma, quando si è totalmente immersi in una qualsiasi attività che conceda alla mente, non il comando, ma la sua funzione di organo utile a svolgere il suo compito.
Subito dopo, di solito, arriva una stanchezza felice, come quando si ha il down di adrenalina, e un leggero torpore s'impossessa di noi.
Poi c'era il mimo-attore.
Poi i saluti.
Poi la notte, il ritorno.
Poi la vita con la sua crudezza e la sua meraviglia.
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