domenica 17 novembre 2013

Franco Arminio a Venezia

Incontro con Franco Arminio

Sabato sera in una libreria gremita - la Marco Polo di Venezia, piena di gente  seduta, in piedi e fuori -, l’incontro con Franco Arminio, poeta e persona straordinaria, contraddittoria, dalla mistica involontaria.
Lo confesso: temevo di rimanere deluso dopo anni quasi mai deludenti di incontri e letture in rete; si sa che le persone e i personaggi che incarnano, quasi mai vanno d’accordo.
In questo caso invece no, la concordanza c’è, e supera le aspettative - si dovrebbe aprire una parentesi sul cinismo e la diffidenza che ci abita a causa dei tempi moderni, dei trasformismi, della finzione cui la vita pare costringerci, a cui ci si può ovviamente ribellare essendo disponibili a pagarne il prezzo -.
L’uomo e il poeta grafomane convivono in un unicum; convivenza resa possibile solo in caso di arresa, di accettazione di quel che si è, di armonia con la propria precarietà.
Tutto il racconto di Arminio - paesologo, non-scienza che vede in lui il maggior e unico esperto, anche se si sta formando un corpo docente di tutto rispetto - segue le direttrici del fare qualcosa per fermare l’assurdità del vivere attuale, per interrogarsi, per stare insieme e mettere le basi di una rivoluzione dello status quo, che nessuno sa come si fa, ma per il solo fatto di stare insieme, si è già iniziato.
Il paesaggio geografico e quello interiore vivono e muoiono in simbiosi: nevrosi, psicosi, bellezza, sofferenza, gioia, dolore viaggiano paralleli dentro e fuori.
Si può fare paesologia andando in un paese, sedersi su una panchina,  passeggiare, guardarsi intorno, ascoltare, parlare, toccare; donando e ricevendo coi sensi e coi sentimenti e con le emozioni ciò che il posto ha e è.
E intessere così relazioni col mondo, con gli esseri umani, con la terra e l’aria e gli animali.
Soli si muore, e in solitudine.
Mi è parso di capire che chieda solo di essere pensato, scritto, disegnato, comunicato, ricordato, e soprattutto abbracciato.
Ecco, la rivoluzione potrebbe iniziare dai sorrisi, dagli abbracci, dal finirla di nascondere le proprie ferite, le debolezze, le fragilità.
Arminio è un monaco che ha bisogno d’amore: ricevuto e donato.
E ne scrive compulsivamente
E non se ne vergogna.
E io lo ringrazio per questo.

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