sabato 20 luglio 2013

fine impero

Fine impero, l’ultimo romanzo di G Genna, mi conferma quello che penso di questo scrittore, potenzialmente uno dei migliori, e tuttavia non ancora, secondo me, capace di esprimersi ai livelli che il suo talento gli consentirebbe.
Prima di questo, in vacanza, ho letto il libro “perché scrivere” di Z Smith, e adesso sto leggendo “niente trucchi da quattro soldi”, di R Carver.
Rispetto al primo, di Genna direi che questa domanda la deve aver superata alla nascita: lui è la scrittura; e non mi riferisco alle ragioni, alle spinte, alle motivazioni consce o meno. Genna probabilmente scrive perché non ne può fare a meno, perché gli viene spontaneo, gli è necessario, gli tocca, senza farsi troppe domande sulle ragioni recondite. Ed è proprio in riferimento alla parte pulsionale della scrittura, che incontro i suoi limiti. Mi pare logorroico, riempiente, ossessionato dal significante.
Pensando ai miei limiti, di comprensione, di sapere, gli arzigogoli ermetici che spalma qua e là, mi sono difficili da digerire.
Ricordo alcuni suoi romanzi noir - polizieschi? gialli? -, nei quali pur essendo una macchina a incastri perfetta, scriveva alla Genna, non giocando mai di sottrazione, di essenza, lasciando fare alla trama - in cui gli riconosco una grande capacità - il suo dovere, visto il genere.
In uno dei suoi libri parlava in modo molto efficace ed affascinante del suo incontro con il regista D Lynch, spiegandone la filosofia. Raccontava del suo modo di penetrare l’inconscio, e mi pare che a volte anche lui ci provi, ma temo, con intenzionalità evidente.

In questo romanzo ci sono frasi molto riuscite, scene degne della migliore letteratura, frapposte alla logorrea di cui accennavo, il cui equilibrio risulta a volte instabile.
Anche la sintassi è forzatamente eccessiva; pur riconoscendone la fatica compositiva, il lavoro.
Mi chiedo se forse non sia io a vedere il suo modo di esprimersi, opposto a quello che è. Se non sia il suo genio ipertrofico a non concedermi tregua, a non farmi godere appieno le sue multiformi sfumature.
Insomma, per tirare in ballo Carver “ in uno scrittore apprezzo moltissimo la chiarezza e la semplicità, ma non la semplicioneria - quella è tutta un’altra cosa”.

Credo verrà a Venezia, e se riuscirò a partecipare alla presentazione, non gli parlerò del romanzo, dei suoi libri, ma del suo approccio alla mistica, alla meditazione, che so che ama molto, e che frequenta da anni.
Questa disciplina tende alla semplificazione, all’essenza, alla radice e alla consapevolezza.
Mi chiedo se la sua scrittura non sia l’esatto opposto.
Mi chiedo se non tenda a complessificare ciò che in realtà è più semplice.
Mi rispondo che non lo so, ma che lo spero.

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