L'altro
giorno per sbaglio sono capitato in un sito che non conoscevo, che a mia insaputa verifica il flusso delle visite del mio
blog.
Non
sono un esperto di rete, e tanto meno conosco la tecnologia, i retroscena, i
meccanismi di questa fantastica opportunità moderna, che si moltiplica
continuamente, con ritmo incessante. So che qualunque cosa faccia, lascio
tracce: l'elettronica è una grande comodità, ma non va d'accordo con la
riservatezza.
Ho
scoperto che il mio blog è classificato come il 1600000esimo circa. Ho pensato
che più di un milione e mezzo di blog sono più visitati del mio, e non mi
sorprende, né mi suscita alcun sentimento.
L'avevo
ripreso, dopo anni che non ne avevo più uno, per diffondere il verbo del mio
libro, e delle attività che svolgo con Franco e Umberto, sui vari palchi che
ospitano le nostre performances.
L'altra
sera parlavo con G Montanaro, finalista al Campiello, con il quale
concordavamo su una cosa: si
scrive per farsi leggere, punto. Lui mi accennava a quanto sia bello scrivere per un grande editore (
Feltrinelli, nel suo caso), di come ci si senta seguiti, coccolati e fortunati.
Gli credo, e credo che, giovane com'è, riuscirà a essere tra quelli che campano
di scrittura ( in forma diretta e non). Non so se chi ci riesce, lo meriti
anche; non saprei nemmeno dire se lui lo merita: quello che so, però, è che
piacerebbe anche a me, pur sapendo che non accadrà.
Pensavo
inoltre alle statistiche scoraggianti sui lettori italiani: più di metà leggono
meno di un libro all'anno ( un dato sconvolgente che spiega, almeno in parte,
le ragioni del nostro vivere civile). Con queste statistiche, quello che io
scrivo non ha quasi alcuna possibilità di essere letto; e scrivo questo, senza
pensare al mio valore, alla qualità delle mie parole, ma sapendo di scrivere su
un piano di realtà: pochi leggono, figurati se quelli che lo fanno, scelgono me
( non mi sto riferendo a me in particolare, ma a quelli come me, del mio stesso
grado di famosità).
La
cosa che pare incredibile, è che continuo a farlo nonostante.
Continuo,
pur sapendo di compiere un'azione quasi inutile, solitaria, ininfluente.
Ieri
sera mia figlia mi diceva che il vincitore di master chief della seria scorsa,
aveva scritto in libro" di ricette, non di filosofia", mi ha apostrofato
mentre facevo " una delle mie solite facce".
Mi
piacerebbe poter affermare che scrivo per me, ma non è vero; o almeno, lo è
parzialmente. Scrivo per me nella misura in cui scrivere mi libera di zavorra,
mi alleggerisce. Ma lo faccio
anche perché penso di avere qualcosa da comunicare, perché sono un
artista, perché ho accettato questa condizione del mio stare al mondo, perché
credo che sia la cosa più utile che posso dare, perché a me piace di più dare
che ricevere, perché credo che sia giusto scoprire e convivere col proprio
talento, tanto o poco che sia.
Concludo
dicendo che leggere è una delle migliori scelte che una persona possa concedere
a se stessa, e che se si fa parte della metà che legge di più di un libro
all'anno, che magari non sia di ricette, questa sarà una persona che
interagisce e comunica e traduce meglio il mondo, di quell'altra metà.
E
sono convinto di questo, pur consapevole che non leggerà me.
wow, sai quando hai tutto in mente ma non riesci a dirlo? Sono cose che rimugino spesso e adesso le trovo qui, nero su bianco. Bella scoperta davvero!
RispondiEliminabene Alessandro, mi fa piacere sapere che leggere e scrivere, benché sia un'esperienza fatalmente solitaria, faccia incontrare. quando mi capita, capisco che vale comunque la pena.
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