L’altro
giorno sono stato intervistato da Radio Cà Foscari. Intervista alle 16.30 per
la trasmissione delle 19: 15 minuti in tutto.
L’intervistatore,
Alessandro, un dottorando in critica letteraria, mi ha fatto diverse domande,
tutte pertinenti, alle quali ho risposto in modo a dir poco claudicante.
Ci
ho pensato; pensavo alle ragioni per cui se devo parlare del mio libro, le
parole mi escono titubanti, incerte, affollate di pensieri, che sfoltiti
risultano vagamente stitici.
Venivo
da un’intensa giornata di lavoro- operatore sociale, ergo: parole e pensieri
parlati e ascoltati-, ero stanco, sapevo che dovevo andare in sala prove, che
mi devo trasferire di casa nell’arco di qualche mese, ecc. Dinnanzi a una prova
scarsa, le scuse che si possono trovare sono molte, variegate, fantasiose, e
spesso pretestuose.
La
verità, mi sono detto, è un’altra. In realtà devo accettare- devo imporlo a me
stesso, il quale è spesso refrattario alle imposizioni- di prepararmi, almeno
un poco; organizzare qualche pensiero articolato, delle suggestioni, degli
spunti da cui partire per poi andare a braccio.
E
allora scrivo le domande- come mi fossero fatte qui, adesso-, e risponderò
scrivendole, - come potessi formularle qui, adesso-.
Mi
limiterò per ora alla prima domanda.
-La
prima domanda riguarda il nome: come mai Prakash?
-
Confesso che non mi piace molto parlarne: il nome l’ho scritto per me, non per
mostrarlo agli altri, ma so al tempo stesso che scrivendolo, ne devo
rispondere.
Il
nome Prakash risale ad una fase della mia vita che definisco spirituale. C’è stato un periodo, durato qualche anno,
in cui praticavo con assiduità la meditazione, leggevo libri di maestri
illuminati- moltissimi di Osho e di Krishnamurti-, dai quali ho tratto
insegnamenti che a tutt’oggi conservo e che cerco di mettere in pratica. Uno di
questi, a mio modo di vedere, uno dei più rivoluzionari, è quello di vivere
totalmente il presente. Mi spiego meglio: passiamo gran parte della nostra
vita, e sprechiamo molta energia, stando dietro ai pensieri e alle ossessioni e
proiezioni: pensiamo al passato, prefiguriamo il futuro, e raramente viviamo il
presente subitaneo, il qui e ora. Siamo travolti da condizionamenti famigliari,
educativi, culturali; paghiamo in termini di frustrazione, di sintomi, di
malattie, perché non ci sentiamo adeguati: non siamo mai come vorremmo essere,
ci sentiamo sbagliati, traditi da noi stessi, concupiti, non ci basta mai ciò
che abbiamo.
Per
me, per la mia vita, Prakash rappresenta tutto ciò: è un memento, un monito,
uno sprono a ricordarmi che quando non sono in me, quando inseguo pensieri,
quando non sono presente, attento, non sono Prakash, ma solo Cristiano Dorigo,
che è il mio nome anagrafico.
...
continua
Nessun commento:
Posta un commento