sabato 1 settembre 2012

Corea di Huntington, pendolari, pedalando controvento in una sera di fine agosto a nord est

Ieri sera nel treno dei pendolari c'era un signore affetto da Corea di Huntington. Lo affermo con certezza perché nella mia vita professionale ho incontrato un caso, e quando ne incontri uno, non lo puoi più dimenticare.
Per chi non la conoscesse, può sempre andare a leggersi qualcosa anche su wikipedia.
Si tratta di una malattia terribile, tanto più perché impossibile a non manifestarsi in modo plateale, e che perciò espone il malato ad un'ulteriore recrudescenza estetica.
In sostanza si tratta di una serie di movimenti involontari molto accentuati, incontrollati, che hanno l'ampiezza di tutto l'arto, che riducono la persona ad una sorta di danza ridicola e pietosa. Quando cammina, per fare un esempio che si può a malapena avvicinare, bisognerebbe immaginare un ballerino di hip hop terribilmente ubriaco, che però insistesse nell'esibizione. Ma non finisce qui. Ci sono anche compromissioni a livello psichiatrico: irritabilità, cadute depressive, violente manifestazioni di rabbia furiosa senza apparente motivo. A dirla tutta, i motivi ci sono eccome. Ricordo il ragazzo che avevo conosciuto anni fa: la sua incazza tura era terribile, e ti credo: viveva da solo fino a un certo punto della malattia, quando all'esordio riesci ancora a cavartela un poco. Faticava ad alzarsi da letto, non riusciva a prepararsi un caffè, per mettersi le scarpe un incubo, e via discorrendo.

Il signore del treno teneva gli occhi chiusi e per una trentina di secondi sembrava assopito. All'improvviso riprendeva con un movimento involontario delle dita, si dava pacche in testa, le gambe partivano in ogni dove, sbavava. Il tutto senza armonia. Alcuni passeggeri salivano e non gli pareva vero di trovare un posto libero a Mestre, di sera, fine settimana: un colpo di culo! Poi mentre posavano il bagagliaio, passati quei pochi secondi di tregua, lui iniziava di nuovo con le movenze ridicole e tragiche, facendo desistere i passeggeri.
Ad un certo punto un turista con una valigia enorme gli si è seduto accanto, e un bengalese addirittura di fronte, prendendosi qualche calcio involontario, con stoica indifferenza. La bambina seduta in braccio alla madre, davanti a me, lo guardavano con penosa curiosità, alternando sguardi di condivisione dello spettacolo assurdo con me.
Quando è sceso, alternando gridolini acuti e profondità cavernose, si prendeva un sacco di parole dalla moglie, la quale esasperata, carezzava il cagnolino che teneva in braccio, incitando quello che un tempo era suo marito, e adesso soltanto una persona da cui stare il più lontano possibile per non soccombere.

Delle molte storie che ho incontrato, davvero tante, spesso incredibili, cruente, crudeli, ho sempre concesso spazio alla possibilità di riscatto.
In questo caso, solo alla compassione e al mistero.

Tornando verso casa in bicicletta, pioggia e vento in direzione contraria, sancivano la fine dell'afa, forse dell'estate. Pedalavo spingendo con vigore, bagnandomi totalmente già dopo un minuto, sentendo il freddo, il fiato che chiedeva ossigeno, i muscoli che lottavano. Felice di essere corpo, spirito, pensiero, sentimento, compattamente coesi, vigili, complici, di andare controvento in una sera di fine agosto, a nord est.

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