Ikea, giorno dei santi.
Andare a ikea in un giorno
festivo è una scelta netta: si sa già cosa si troverà, come si starà in mezzo
alla folla, e si deve, come nel mio caso, girarla in positivo, pensando che si
avrà un laboratorio antropologico e sociologico di tutta eccezione, e una
matitina con cui prendere appunti; tutto ciò, per non soccombere al flusso di
simpatia che il marketing, strepitoso e indubbiamente riuscito, ha inscenato e
concretizzato in ogni centimetro quadrato di questo contenitore di voglie e
ipotesi estetiche.
L'ikea del nord est è uguale a
tutti gli altri, in tutto il mondo. Si caratterizza per essere promotore di
novità sfiziose, inutilità ineccepibili, robetta carinissima, intelligenti
soluzioni a nessun problema; il tutto, questo sì, a prezzo contenuto.
Si arriva, si parcheggia, si
entra. Da subito capisci che l'ambiente è amichevole: matitina, foglietti per
gli appunti- cod, prezzo, nome, misura degli articoli-, metro in carta,
catalogo da restituire all'uscita. Sali al primo piano: sulla destra il self
service- di cui dopo parlerò-, sulla sinistra l'inizio del giro.
Appena entrato in reparto, dove
divise per eree tematiche ci sono tutti gli ambienti domestici, vieni accolto
da una serie di camerette arredate di tutto punto. Si prosegue seguendo un
percorso a zig zag che, in caso uno smarrisca se stesso a causa
dell’affollamento di stupore che ti coglie ogniqualvolta intravedi un’idea che
non ti era mai venuta ma che è davvero geniale e che dimostra in tutta evidenza
quanto tu sia uno che non pensa mai che per vivere meglio qualche idea geniale
ogni tanto ti farebbe bene.
Mentre il vociare, i commenti,
gli sguardi degli avventori ti costringono ad una posizione angolare, ti fissi
su alcuni particolari. Ad esempio: simulazione di camera con libreria. Tu
guardi naturalmente la libreria notando con l’ennesima botta di sorpresa, che
hanno sostituito i libri finti di un tempo, con libri veri. Matitina in mano,
pensi di segnarti gli autori, giusto per il gusto di capine un pò di più degli
svedesi tipo; ebbene, con tua grande stupefazione, noti che ci sono degli
autori che non conosci in quanto svedesi – cosa conosci degli autori
dell’europa del nord, eh? Hai il coraggio di confessare davanti a tutti che ne
sai davvero poco o niente?-, trovi un libro della Fallaci tradotto, e una
caterva, diciamo pure la metà dei titoli presenti, di P Roth – e dai, hai
coraggio di dire davanti a tutti che tutti i libri che hai letto di P Roth ti
sono piaciuti davvero tanto, o per caso te ne vergogni?-.
Prosegui, protetto dal tuo
isolamento indagatore.
La maggior parte dei clienti è
formata da coppie. Coppie di ogni genere: lei e lui, lui e lui, lei e lei, lei
e lui e i bambini, lei e lui e i suoi di lei. Tutti, senza distinzione di fede,
sesso, etnia, si dividono in chi è interessato e discute e prende appunti e
ragiona ad alta voce sulle infinite possibili combinazioni, e chi non ne può
più e agogna se non l’uscita, almeno la mensa.
Il giro prosegue, e vieni colto
da tenerezza vedendo negli occhi di molti che c’è chi sogna una vita futura,
che vive ancora uno stato di grazia pre-equitalia, che sta aspettando la
sentenza della banca per sapere se gli darà il mutuo, oppure chi pensa a come
fare ad arredare la sua casa in affitto. Il tasso di tenerezza è in effetti
molto alto, a tal punto che, a voler approfondire lo sguardo, non si può non
cogliere che ikea profetizza un futuribile benessere, disegna i contorni di un
nido d’amore, ipotizza una felicità pret a porter, vagamente popolare, forse
perfino populista di sinistra, nonostante il fatto che girava la voce che il
proprietario avesse simpatie filo naziste. La società moderna, basata
sull’indebitamento a vita, qui ha una sua speciale dolcezza, una sua concreta
trascendenza, una metafisica zen del montaggio dei propri mobili leggendo
attentamente le istruzioni come diceva Pirsig. Ti colpisce la solidità dello
sguardo di alcune donne, che sembrano vedere quel che tu non vedrai mai, e che
con gesti e parole pensano, prefigurano,
disegnano l’intera casa a partire dalle suggestioni che i designer ikea
offrono a profusione.
Dopo i vari reparti, si arriva
a quello che viene annunciato, da un arco posto in una struttura in plastica,
che evoca un parco giochi, quello che nel nostro immaginario collettivo è “il
più importante di tutti”- scritto proprio così-: la zona bebé.
La riflessione che stiamo
crescendo i nostri figli come se fossero dei principini, i quali, Gautama
insegna, una volta che scoprono che il mondo è paragonabile a una merda fumante
e puzzolente, e non a un cartone animato dove tutto è rosa, o dove il bene
vince sempre sul male, si incazzano, ci sbattono in case di riposo simili a
lager, ci lasciano soli con la nostra sempiterna noiosa routine, sempre che
l’alzhaimer non ci abbia prima ridotti a esseri inumani.
Il reparto pullula di
bellissime future mamme, di pance tonde, di delicatezze e attenzioni, di
gridolini, di capriole, di rosa e azzurro, di cantilene. Ci si può dimenticare
di tutto, qui; si può per qualche minuto nuotare nel liquido amniotico delle
nostre proiezioni, nei giuramenti di fedeltà, nella devozione di chi percepisce
che l’amore genitoriale supera tutto, finanche la fede per la squadra del
cuore. Le mamme e le nonne sono efficienti, precise, determinate; i papà manco
si accorgono che i giuramenti che hanno appena pronunciato in forma di
soliloquio silenzioso, sono dovuti alla bolla ipnotica di strateghi svedesi.
La fame però incombe.
Dopo i mobili intelligenti, si
arriva alla mensa; pardon: al self service.
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