E anche questo l'ho letto.
La mia situazione personale non mi consente di dedicare
molto tempo alla lettura - sto traslocando, preparando le letture dei miei
testi a teatro-, ma non ne posso, né voglio, fare a meno. Ho spesso dedicato
attenzione a singoli autori, a seconda dei periodi della mia vita, passando
periodi di letture monografiche: Bolano è la mia ultima fissa.
Quando finisco un suo libro ho la sensazione di essere stato
in posti frequentati dall'umanità più improbabile, di averla accettata e di
essermi fatto accompagnare all'interno di storie al limite del cataclisma,
senza colpoferire; di aver compreso che l'imperfezione riguarda e investe
tutti, e non per questo, e anzi forse proprio per questo, tutti siamo biografie
viventi, siamo storie degne di essere raccontate, siamo importanti e al tempo
stesso insignificanti.
Non so perché amo questo autore. Non saprei descrivere i
suoi romanzi, che hanno finali senza fine, trame talvolta incompiute,
digressioni infinite, apparente casualità.
In questo romanzo- ormai Adelphi pubblica qualsiasi suo
scritto-, si racconta la storia di un ragazzo tedesco che va con la fidanzata
in vacanza in Spagna, nel posto dive andava coi genitori, fino a dieci anni
prima. Ha la passione per un gioco di guerra che si chiama “terzo reich”, che
descrive con dovizia di particolari, a cui dedica grande concentrazione
mentale. Scrive un diario delle vacanze in prima persona, fa una descrizione
delle persone che incontra, narra dettagliatamente i fatti, e intanto il libro
va, pagina dopo pagina, apaprentemente senza fatti eclatanti ( se non un
incidente?).
Se penso a tutti i libri moderni con trame simili a
sceneggiature, agli sconvolgimenti a sorpresa, ai ribaltamenti,
all’impossibilità di questi di uscire dal dualismo bena-male, comprendo la sua
universalità fuori dal tempo.
E anche in questo romanzo, scritto all’inizio della
carriera, come in molti altri suoi, serpeggia soterraneo il male, descrive un
mondo abitato da persone di ogni genere, mostrandocele così come sono, senza
sovrastrutture, abitate parimenti da vizi e talenti.
Sarà che il vissuto latinoamericano è onnipresente, il
campionario di mostri, di incubi, di ansia e accettazione, sono una costante
dei suoi scritti.
Questo non è certo il suo capolavoro, ma è l’ennesima
dimostrazione che certo autori, e probabilmente certa letteratura, più che
capita, va masticata, digerita, lasciata sedimentare, affinchè ci nutra.
E non m’importa di sapere perché amo questo
autore: forse per la condanna a frequentare se stessi, oppure per l’ossessione
per l’essere umano, magari per il piacere irrinunciabile della lettura: chissà.
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