Ieri
sono andato a trovare con un’amica, una coppia di amici che ha da poco avuto un
figlio.
Siamo
arrivati al pomeriggio presto, ci siamo salutati, scambiati gli auguri,
conosciuto G, il bellissimo bambino di poco più di tre mesi.
Dopo
aver consegnati i “pensieri” per G, aver bevuto il tè, chiacchierato del più e
del meno di lavoro, politica, progetti futuri, ci siamo naturalmente divisi per
genere.
Con
l’amico M, scrittore romano trasferitosi a Venezia da anni, abbiamo
naturalmente parlato di libri. Mi ha parlato delle sue recenti letture, io
delle mie, e poi abbiamo affrontato la nota dolente delle scritture. Scrivo
nota dolente perché la scrittura è, a qualsiasi livello, un incontro col
proprio limite, la propria ambizione, il talento, la paura, la speranza, la
verità e la realtà.
Momento
di transizione per entrambi, con progetti fermi per forza maggiore, e forse
anche per una tenacia non abbastanza forte, si concordava sulla difficoltà di
trovare energie sufficienti a reggere la sfida con le parole, dovendo al
contempo occuparsi della quotidianità spicciola. Non è quasi mai una questione
di tempo, e quasi sempre della qualità di questo. Quando il poco tempo che ti
rimane, è tempo di recupero delle energie, e non di energia creativa, sono
dolori.
Dopo
i saluti, con la sensazione di essersi fatti del bene, sono andato verso la
stazione assieme a M. Abbiamo entrambi un impegno di lettura a breve termine:
lui il 30 gennaio, io l’1 febbraio, sullo stesso palco, per la medesima
rassegna: “frari fuori”. Per anni abbiamo lavorato insieme, dividendoci il
palco, poi per questioni che hanno a che fare con la casualità, i limiti della
convivenza artistica, frizioni più o meno serie, ci siamo separati, e ognuno ha
fatto il suo percorso.
Mentre
ci salutavamo davanti ai gradini della stazione, ci siamo detti che in futuro
avremmo potuto fare qualcosa insieme, come un tempo. Gli ho dato piena
disponibilità: dovesse essercene occasione, sono certo che sarebbe bello.
In
treno ripensavo a quello che ci eravamo detti, ma soprattutto alla sensazione
che mi aveva lasciato l’incontro. In particolar modo, al mio rapporto con la
scrittura, dopo l’ultimo libro. Si tratta di un recupero di testi già scritti,
di aggiustamenti funzionali alle letture con F e U, a testi brevi per il blog,
e poco altro.
Stamattina
mi sono svegliato con l’eco di quei pensieri. Ho fatto colazione, mi sono
lavato, portato fuori cagnone e mi sono seduto davanti al romanzo rimasto in
sospeso da tempo.
Nonostante
gli scatoloni, il poco spazio rimastomi sulla scrivania in cui in questi anni
ho scritto, con l’idea che tra pochissimo tempo dovrò trovare un nuovo modo, in
una nuova casa, nuovi spazi, nuovi ritmi, ho deciso di affrontarlo di petto.
Oggi
ho scritto come non facevo da anni: almeno cinque ore. Ne è venuto fuori uno
stravolgimento completo della trama, pur mantenendo molte delle pagine già
scritte.
Sono
distrutto, non mi ricordavo costasse tanta fatica. E sono però, al contempo,
contento. Adesso ho deciso cosa devo fare: non so quanto tempo ci metterò, come
continuerà, dove andrò a finire, ma ho in testa una linea da seguire.
Sono
le 17, sono sfinito. Vado a bermi una tisana, non senza sottolineare però, che
oltre al romanzo, ho scritto un nuovo post per il blog.
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